#Oltre n°19/2024 | La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

#Oltre n°19/2024 | La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

La letteratura “aerea” è piena zeppa di casi di persone che hanno paura di volare. Le statistiche parlano del 50% della popolazione che ha questo tipo di problema. Chi più chi meno, ma tutta questa grande fetta di viaggiatori soffre a mettere piede sulla scaletta che li porterà dentro l’aeromobile.

Non pensavamo fossero così tanti gli aerofobici, invece è così. Ci ricordiamo però di alcuni esempi sportivi, per esempio quello di Dennis Bergkamp, calciatore olandese che deliziò (non sempre) i tifosi interisti prima di passare all’Arsenal dove sottoscrisse un contratto in cui si poneva come clausola essenziale, quella di non salire in aereo. Era il 1995 e quella firma diventò storica proprio perché tenne al riparo il centrocampista e attaccante orange dalla sua fottutissima paura per il volo. Ma lo costrinse pure a faticose trasferte su quattro ruote per non venire meno ai suoi impegni.

Pare che la sua resistenza a salire in aereo nacque in età giovanile, quando il velivolo che passava dalle parti dell’Etna ebbe alcune turbolenze che lo spaventarono così tanto da tenerlo alla larga dal volo per molto tempo. Ma per un campione del suo calibro è impossibile non prevedere qualche lungo viaggio. Terrorizzante. Bisogna, allora, capire come sconfiggere questa fobia. Bergkamp ci avrà provato in tutti i modi, senza però raggiungere il risultato sperato. Ma ci sono centinaia di tecniche e numerosi corsi per combattere il timore del volo. Ed è giusto parlarne mentre ci avviciniamo al periodo delle vacanze, quello in cui diventa più facile e più frequente imbarcarsi su un apparecchio per raggiungere le mete agognate da tutto l’anno.

Primo consiglio, dunque, è quello di rafforzare la motivazione. Se per Bergkamp non era sufficiente pensare che sarebbe sceso in campo in una partita importante per il suo Arsenal, per chi vuole sconfiggere l’aerofobia diventa essenziale focalizzarsi sulla spiaggia assolata o sul luogo incantato dove si è diretti in vacanza. Il bello del dopo può far superare il brutto del prima. Ma non è ancora sufficiente per sconfiggere quella tenaglia che ti assale e che ti sviluppa un’intensa sudorazione, oltre al battito cardiaco accelerato e a episodi di vomito. Per raggiungere lo scopo, oltre che focalizzarsi sull’obiettivo, serve concentrarsi su stessi, sulla propria capacità di reagire a ciò che non ci piace. Se ci pensate bene questa è la molla che ci motiva spesso, di fronte a impegni gravosi o a cose che non vogliamo fare. La forza, dunque, sta in noi. Ce ne dobbiamo rendere conto per mettere in pratica quella frase che ci rimbomba in testa da quando, per la prima volta, abbiamo visto al cinema Star Wars: «Che la forza sia con te». Anche – anzi soprattutto – in volo.

#Oltre n°19/2024 | La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

#Oltre n°17/2024 | La bellezza fa passare stanchezza e fatica

La bellezza fa passare stanchezza e fatica

La montagna regala sensazioni uniche. Ha sempre esercitato un fascino attrattivo senza eguali, ma oggi forse di più perché è forte l’esigenza di stare un po’ in pace rispetto a una vita frenetica e convulsa. Non stupisce, allora, che i rifugi diventino mete privilegiate di sempre più numerose escursioni, oasi di pace dentro un mondo che Roberto Vannacci definirebbe al contrario. Ma senza scomodare (non sia mai) il generale e ora candidato alle Europee per la Lega, è sempre più sentita la necessità di evadere e di puntare verso l’alto, verso quelle cime che caratterizzano la variegata geografia italiana, verso quelle valli che permettono di stare un po’ in pace con se stessi, felici di aver raggiunto la meta.

Non c’è soddisfazione più grande, infatti, di raggiungere un rifugio dopo ore di cammino. È vero, ce ne sono di tutti i tipi. Si può arrivare al dunque utilizzando gli impianti o, per i più scaltri e meno abituati alla fatica, è possibile salire su un elicottero che ti porta a destinazione. Ma che gusto c’è? La montagna è metafora della vita, secondo la quale, per arrivare a raggiungere dei risultati, te li devi sudare. Non sono ammesse scorciatoie.
Forse proprio per questo sta prendendo forma una specie di Booking dei rifugi, perché la domanda aumenta e i posti sono quelli che sono. Va bene faticare in salita, nulla contro l’acido lattico che ti si accumula nei muscoli mentre percorri i sentieri più impervi, ma tutto ciò viene dimenticato facendo una bella sosta davanti a una tazza di cioccolata calda e, magari, di un bombardino con panna. Ma se la sosta non c’è? Se il posto è già occupato, che si fa? Senza premio finale, viene meno anche la voglia di fare fatica. E dunque passa la voglia di andare in montagna. Per cui il Cai si organizza e lancia una piattaforma il più possibile completa e condivisa. E tutto torna. Pure le prenotazioni aumentano. Di pari passo con il desiderio di evadere.

Resta da capire, allora, quale sia la molla che induce un numero sempre maggiore di turisti a salire in montagna? Qualche indizio lo abbiamo già fornito nella prima parte dell’articolo, senza entrare nel merito dell’altra motivazione forte che guida la rincorsa ai rifugi. Ci sta la soddisfazione dopo la fatica come metafora degli sforzi di ognuno di noi per raggiungere gli obiettivi che contano nella vita, ma c’è una ragione ancora più primordiale che muove gli escursionisti verso le loro mete, ed è la voglia di bellezza. Salire in montagna permette di essere dentro panorami mozzafiato, di fronte a opere straordinarie della natura che lasciano estasiati anche i meno avvezzi a farsi prendere la mano dalle emozioni. Le scelte della nostra vita, nella maggior parte dei casi, sono sempre indirizzate alla bellezza, come in montagna. E anche a costo di un po’ di fatica. Ma ne vale la pena.

#Oltre n°19/2024 | La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

#Oltre n°16/2024 | Linus ci insegna a conoscere se stessi come Socrate

Linus ci insegna a conoscere se stessi come Socrate

Il tempo del Covid è stato un tempo sospeso della nostra vita. Se ci pensiamo ora, ci sembra tutto ovattato, una parentesi tra due parti della nostra vita intense e chiassose. Abbiamo avuto sensazioni strane durante la pandemia: su tutte ha dominato la paura del contagio. Per se stessi e per i propri cari. Abbiamo avuto più concreta attinenza con la morte vedendo quelle bare sui camion e ricevendo notizie, purtroppo spesso, di persone che conoscevamo e che se ne erano andate. Pareva di non stare in questo mondo, diciamolo chiaro. Appesi a un filo che poteva spezzarsi, ci siamo legati ancora di più ai nostri affetti, cercando un sorriso in una pizza cucinata in casa o in un sospiro di sollievo appena sentivamo in televisione che i dati del contagio iniziavano ad abbassarsi.

Durante questo limbo terreno ognuno di noi a re-inventato il suo lavoro. Abbiamo scoperto le riunioni on line, la presenza solo a distanza o con mascherine, la necessità di fare, di creare e di inventare ma senza fisicità. Pure Linus, il deejay più famoso d’Italia, ha subito le restrizioni della pandemia. Ma non si è fermato. In quel tempo sospeso che ha toccato tutti noi, ne ha tratto un programma e ora uno spettacolo teatrale che serve a recuperare, se non altro, sicuramente la necessità di ascoltare e di ascoltarsi. Giusto che ce lo dica un personaggio che fa radio da decenni. Il suo è un osservatorio privilegiato della nostra società, travolta da una marea di stimoli e forse incapace di comprenderli tutti. Ecco perché Linus riprende i fili del periodo pandemico per riannodarli con l’attualità.
Come andrà a finire? L’autore e direttore artistico di Radio Deejay spera bene. Si augura che la gente vada ad ascoltarlo. Lui, solo sul palco, one man show.

Magari è semplicemente una coincidenza che il “Radio Linetti Live” (questo il titolo) arrivi a teatro a pochi giorni dall’addio di Amadeus alla Rai. Potrebbe fare da apripista all’approdo di Linus sul palco di Sanremo. Sull’argomento lui ha già dato la sua risposta a chi gli chiedeva se era pronto per un ritorno in Rai. «Sì, a presentare Sanremo». Battute a parte («non accadrà mai», la sua aggiunta) c’è un mondo che si apre appena pensiamo al Covid – più che alla Rai – ed è curioso che ce lo ricordi Linus che, da tanti anni, ci tiene compagnia grazie al suo programma radiofonico, tra i più ascoltati d’Italia. Significa che anche dai momenti più brutti, più duri e più devastanti può nascere una riflessione che porta verso qualcosa di importante, ci invita a guardare dentro noi stessi. E, se possibile, di farlo non solo in occasioni particolari della nostra vita o durante uno spettacolo teatrale. Andrebbe fatto sempre. Come diceva Socrate: «Conosci te stesso». Già se riesci a rispondere a questa domanda, sei avanti con il lavoro.

#Oltre n°19/2024 | La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

#Oltre n°15/2024 | Manifestare la propria libertà per rispettare quella degli altri

Manifestare la propria libertà per rispettare quella degli altri

Vogliamo essere chi non siamo. Ci piace camuffarci per sembrare diversi, unici nella nostra individualità ma pronti a trasformarci nel nostro aspetto fisico.
Il discorso è ampio dentro una società che viaggia a mille all’ora: oggi mi sento un irreprensibile signore in doppiopetto, domani preferisco lo stile casual e dopo domani scelgo un look ancora più stravagante. Tutto è possibile, tutto è permesso. Ma non è un vizio di questo scampolo di millennio caratterizzato dalle versatilità di un camaleonte. È sempre stato così. Non si spiegano altrimenti le parrucche che hanno caratterizzato i momenti spensierati della Belle Époque o i look sempre più ricercati dei cortigiani che stavano alla reggia di Versailles. Oggi ridiamo quando vediamo quei signori imbellettati con tanto di neo finto sulla guancia. Eppure, a quel tempo, a certi livelli, era tutto normale. Anzi, era un segno di distinzione. Il popolo straccione faceva la fame vestito con quattro pezze, i signori si infiocchettavano nei ricevimenti di gala o nelle partita a carte con gli altri nobili.

Ora l’epoca è cambiata, ma non la voglia di trasformare il proprio look in base ai propri desideri. La moda della parrucca è svanita ma ci sono altri sistemi per far corrispondere l’aspetto fisico a ciò che più ci piace. Gli esempi sono infiniti, l’importante è non esagerare. Ma chi ha il diritto di porre un limite? Vi ricordate, anni fa, quando andavano di moda i punk, che si mettevano uno spillone nella guancia? Ai più tutto ciò faceva senso, se non addirittura dava fastidio, ma per qualcuno era l’unico modo di sentirsi in pace con se stesso.

Si potrebbero scrivere intere enciclopedie per spiegare come l’uomo e la donna lavorino sul proprio look per arrivare all’accettazione di se stessi. È un sottile gioco psicologico e sociale che sta alla base di ogni scelta, un tentativo di far corrispondere il guscio (il proprio corpo) a ciò che c’è dentro (gli antichi parlavano di anima). Se tante sono le forme di espressione di ognuno di noi, difficile trovare una spiegazione univoca. In fondo resta la necessità di essere liberi dai condizionamenti. Dunque, se il nostro look (con parrucca o senza) ci permette di essere noi stessi ben venga. Se, invece, è solo un tentativo di copiare modelli alla moda, allora diventa una distorsione, quasi una malattia.
«Ogni scarrafone è bell ‘a mamma soja», insomma, recita un antico proverbio napoletano. Non solo e non per forza. L’importante è che, nel look come nei gesti, nei modi, nel carattere, piacciamo a noi stessi. Rispettare la propria libertà è il primo passo per comprendere quella degli altri. E per tutelarla. Sempre e ovunque.

#Oltre n°19/2024 | La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

#Oltre n°13/2024 | Sbagliare per conoscere. Ce lo insegna Ulisse

Sbagliare per conoscere. Ce lo insegna Ulisse

La frase che pronunciò Ulisse nella Divina Commedia di Dante ci rimbomba nella testa da quando, volenterosi (non sempre) studenti del liceo abbiamo affrontato quel canto dell’Inferno in cui l’eroe omerico disse: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza». E così abbiamo fatto, cercando di arricchire il nostro bagaglio di informazioni sul mondo, per rispondere in modo sempre più serio e adeguato alle domande che si presentavano sul nostro cammino.

Ci siamo illusi di sapere (forse) e abbiamo fatto le nostre scelte alimentando il livello della consapevolezza, sicuri che questa fosse cosa buona, come da consiglio di Ulisse (e dei nostri professori). Mano a mano che siamo cresciuti ci siamo però resi conto che tale processo non era garanzia di successo. Anzi, ci siamo accorti che più sapevamo e più sbagliavamo, proprio perché il meccanismo di decodificazione della realtà non risponde a criteri meccanicistici e quantitativi (più conosco, meno sbaglio) ma dentro questo meccanismo entrano talmente tante variabili che un cervello umano non è in grado di gestirle tutte (e lasciamo perdere quel diavolo dell’intelligenza artificiale). Dunque, ci è venuta voglia di buttare i libri in un cestino. E, riadattando la questione ai tempi moderni, abbiamo pure pensato che tutta quella valanga di conoscenze che ci mette a portata di mano il web servivano più a confonderci le idee che a chiarirle. Perciò, non aveva ragione Ulisse. Lui ci diceva, più o meno, che avremmo rispettato la nostra origine seguendo «virtute e canoscenza». In verità, più studiavamo, più approfondivamo e più ci sentivano in mezzo alla selva oscura, incapaci di ritrovare il bandolo della matassa, confusi dentro il diluvio delle notizie.

È un po’ quello che ci capita anche adesso quando consultiamo i siti. Ci sembra di finire dentro un labirinto su un terreno viscido e sdrucciolevole: pieni zeppi di input ma non sempre capaci di decodificare a dovere la realtà. È questa la condizione dell’uomo contemporaneo. Lo sappiamo ma non ci arrendiamo. Non finiamo dentro il precipizio del nichilismo e del relativismo, non ci lasciamo sedurre dal flusso costante delle diverse posizioni ma proviamo a recuperare l’unica ancora di salvezza dentro il mare magnum di un mondo diventato sempre più complesso. Per stare a galla ci aggrappiamo alla semplicità. Questa è la parola chiave per capire il mondo attraverso risposte chiare e certe. E come le sappiamo? Beh, dobbiamo seguire «virtute e canoscenza». Ma. come, non avevamo detto che Ulisse aveva torto? Può darsi, però questa è la nostra «semenza»: imparare, conoscere, capire, sbagliare, contraddirci e cadere. Siamo uomini (e donne) normali. Per diventare dei ci stiamo attrezzando. La tecnologia ci tenta, ma ci vuole un po’ di pazienza, non è ancora il momento.

#Oltre n°19/2024 | La paura da sconfiggere è dentro di te. Vero Dennis?

#Oltre n°12/2024 | Erbe selvatiche contro i guai dell’industria alimentare

Erbe selvatiche contro i guai dell’industria alimentare

 

“La cuoca selvatica” di Eleonora Matarrese è l’ennesimo tentativo da parte della nostra società tecnologica e massificata di tornare alla natura. Un libro che regala gustose ricette e che rimette in pace con l’ambiente spesso devastato dall’opera dell’uomo. Quanto ci sia di autentico e quanto pesi il marketing su un argomento così di moda, questo non si può dire. Di certo l’operazione è portata avanti con sincerità e convinzione perché bisogna essere animati dal sacro fuoco della passione per andare a cercarsi gli ingredienti di ricette antiche e moderne in mezzo ai campi, invece di rivolgersi al supermercato più vicino.
Il tema di base, comunque. è il recupero di gusti e di tradizioni del nostro passato, la maggior parte delle quali sono molto più salutari di quelle attuali.

Partendo da questo presupposto si entra dentro un terreno interessante ma super minato. Ne è dimostrazione la proiezione nei giorni scorsi, pure al Miv di Varese, del documentario Food for Profit che spiega come gli allevamenti intensivi devastino la nostra alimentazione e il nostro equilibrio con l’ambiente, creando i presupposti per nuove pandemie e per lo svilupparsi di malattie. Un’industria, tra l’altro, che riceve copiosi finanziamenti dalla Comunità europea, quindi dalle nostre tasche. Rispetto a questo modello di consumo, dunque, si contrappone quello più naturale e circoscritto. Ne sono testimonianza anche comunità che stanno nascendo in provincia di Varese. Fanno della produzione autoctona un motivo di vanto ma soprattutto un esempio per cambiare abitudini sbagliate che ci portano alla progressiva distruzione del pianeta.

Ripartire da fiori e erbe spontanee è un buon inizio per cambiare mentalità e per capire quanto di buona esista già in natura. Non è facile, però, adattarsi a questi gusti perché il punto di forza dell’industria alimentare attuale sta proprio nell’intercettare le nostre debolezze e farle diventare un buon motivo economico. Il gioco è sempre lo stesso: meno fatica, più piacere, perché dovrei cambiare? Infatti, non tutti quando si mettono a tavola vogliono cambiare il mondo. Per un consumo responsabile devono però sapere che ogni atto compiuto contro la natura finisce per diventare un boomerang, le cui conseguenze ancora non si conoscono. Per non sbagliare, dunque, meglio affidarsi alle ricette della cuoca selvatica. Non sempre incontreranno i nostri gusti ma, pian piano, ne capiremo il valore e il significato. Ritroveremo le nostre origini, più che con la farina di grilli, altra idea alimentare che va molto di moda. Ma sulla quale è legittimo nutrire qualche perplessità.