Sbagliare per conoscere. Ce lo insegna Ulisse

La frase che pronunciò Ulisse nella Divina Commedia di Dante ci rimbomba nella testa da quando, volenterosi (non sempre) studenti del liceo abbiamo affrontato quel canto dell’Inferno in cui l’eroe omerico disse: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza». E così abbiamo fatto, cercando di arricchire il nostro bagaglio di informazioni sul mondo, per rispondere in modo sempre più serio e adeguato alle domande che si presentavano sul nostro cammino.

Ci siamo illusi di sapere (forse) e abbiamo fatto le nostre scelte alimentando il livello della consapevolezza, sicuri che questa fosse cosa buona, come da consiglio di Ulisse (e dei nostri professori). Mano a mano che siamo cresciuti ci siamo però resi conto che tale processo non era garanzia di successo. Anzi, ci siamo accorti che più sapevamo e più sbagliavamo, proprio perché il meccanismo di decodificazione della realtà non risponde a criteri meccanicistici e quantitativi (più conosco, meno sbaglio) ma dentro questo meccanismo entrano talmente tante variabili che un cervello umano non è in grado di gestirle tutte (e lasciamo perdere quel diavolo dell’intelligenza artificiale). Dunque, ci è venuta voglia di buttare i libri in un cestino. E, riadattando la questione ai tempi moderni, abbiamo pure pensato che tutta quella valanga di conoscenze che ci mette a portata di mano il web servivano più a confonderci le idee che a chiarirle. Perciò, non aveva ragione Ulisse. Lui ci diceva, più o meno, che avremmo rispettato la nostra origine seguendo «virtute e canoscenza». In verità, più studiavamo, più approfondivamo e più ci sentivano in mezzo alla selva oscura, incapaci di ritrovare il bandolo della matassa, confusi dentro il diluvio delle notizie.

È un po’ quello che ci capita anche adesso quando consultiamo i siti. Ci sembra di finire dentro un labirinto su un terreno viscido e sdrucciolevole: pieni zeppi di input ma non sempre capaci di decodificare a dovere la realtà. È questa la condizione dell’uomo contemporaneo. Lo sappiamo ma non ci arrendiamo. Non finiamo dentro il precipizio del nichilismo e del relativismo, non ci lasciamo sedurre dal flusso costante delle diverse posizioni ma proviamo a recuperare l’unica ancora di salvezza dentro il mare magnum di un mondo diventato sempre più complesso. Per stare a galla ci aggrappiamo alla semplicità. Questa è la parola chiave per capire il mondo attraverso risposte chiare e certe. E come le sappiamo? Beh, dobbiamo seguire «virtute e canoscenza». Ma. come, non avevamo detto che Ulisse aveva torto? Può darsi, però questa è la nostra «semenza»: imparare, conoscere, capire, sbagliare, contraddirci e cadere. Siamo uomini (e donne) normali. Per diventare dei ci stiamo attrezzando. La tecnologia ci tenta, ma ci vuole un po’ di pazienza, non è ancora il momento.