IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Babbo Natale accompagna i sogni dei bambini fino al 25 dicembre quando lascia i regali sotto l’albero addobbato
A Natale i sogni si avverano sempre
C’è sempre un cugino che ti fa restare male. A me è capitato che, come se niente fosse, mi svelasse il segreto di Babbo Natale, al quale credevo – come tutti i bambini – con sincera devozione. Nella mia infanzia di proletario mi ricordo che dovevo ricevere il 25 dicembre le scarpe nuove, quelle con la para e il pelo, quelle che ti tengono il piede caldo caldo e non ti fanno entrare l’acqua. Peccato, però, che, a metà dicembre, in quel di Castellanza dove abitavo (e abito), cominciò a piovere, anzi a diluviare senza interruzione, e le mie vecchie scarpe non è che fossero proprio a tenuta stagna. Cosa fece Babbo Natale? Ricordo ancora che mi mise le calzature nuove sul davanzale interno di un finestrino della cantina. E, guarda caso, mia madre passò di lì e le trovò poco prima che io uscissi per andare a scuola. Così me le misi, non mi bagnai i piedi e non presi il raffreddore. Unica accortezza: rimettere la scarpe dentro la scatola quando finì di piovere. Poi, naturalmente, Babbo Natale me le fece trovare pulite e lucidate sotto l’albero. Che cosa dovrei fare adesso? Accusare i miei genitori di inganno di bimbo? Purtroppo non ci sono più né mamma e né papà. Ma il cugino che qualche tempo dopo mi rivelò la macchinazione ordita alle mie spalle esiste ancora. Ed è colpevole, quello sì, di aver ucciso – non ricordo quanto tempo dopo – il sogno di un bimbo.
In fondo la leggenda di Babbo Natale è una delle più belle che esista. Ce ne accorgiamo quando abbiamo figli e nipoti. E, naturalmente, perpetuiamo la farsa, salvo trovarci con qualche difficoltà di troppo adesso che viviamo nell’epoca di internet e della comunicazione globale. È sempre più difficile far credere ai bambini che ci sia il vecchio con la barba, vestito di rosso, che porta i doni. Vale la pena insistere perché che Natale sarebbe senza questa magia? Ora però i bimbi sono più scaltri, più svegli di noi. Ricordo mio figlio che aveva quattro anni e arrivò il vicino di casa ottimamente travestito, con la gerla piena di doni. Peccato che, al primo sguardo, Alfonso mangiò subito la foglia: «Papi, ma quello è il Pietro». Restai di sasso ma continuai a mantenere la scivolosa bugia finché un giorno ci sarà stato qualche cugino che avrà rivelato a mio figlio la non esistenza di Babbo Natale.
È una ruota che gira. Si potrebbe dire che è la ruota della vita. Ma stavolta vogliamo rimanere leggeri e aspettare quello che è il periodo più bello dell’anno con la convinzione che Babbo Natale esista davvero. Sì, avete letto bene. Per toglierci dalle miserie di cui è fatta spesso l’esistenza umana, c’è un solo modo ed è quello di sognare. Anche perché, se ci credete, spesso i sogni si avverano. Soprattutto a Natale.
IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Una suggestiva immagine del lago di Ghirla in Valganna, qui si concilia la voglia di relax con la natura
La natura ci aiuta ad essere uomini e donne non artefatti
Viva la natura, abbasso l’uomo che tutto distrugge solo per il proprio tornaconto. Non è questo uno slogan coniato da Greta Thunberg, l’ambientalista di cui si sente parlare sempre meno dopo gli scioperi a tappeto che l’hanno resa famosa per la difesa del pianeta, ma un pensiero ricorrente quando si ha finalmente il tempo di concedersi una rilassante vacanza in luoghi fuori dal mondo. Non c’è bisogno di avventurarsi in soggiorni extra Oceano, a volte basta poco. Vi sembrerò banale ma è sufficiente spingersi in Valganna, oppure in Valcuvia (sperando di non imbattersi in qualche spacciatore, dei quali abbiamo dato conto qualche giorno fa nell’inchiesta di Prealpina) o ancora trascorrere un sabato pomeriggio sul lago di Ghirla o in qualche altra oasi naturale del circondario per rendersi conto che si sta proprio bene immersi nella natura. E allora perché continuiamo ad abitare in caotiche e inquinate città? Beh, ce lo chiediamo da tempo. Tanto più se siamo italiani e viviamo in una terra che riserva straordinari paradisi a chi li vuole amare e gustare fino in fondo.
A me che sono nato a Busto Arsizio e abito a Castellanza il destino non ha riservato una sorte particolarmente benevola. Ma ho la fortuna di abitare in un luogo che mi permette di essere al centro del mondo (più o meno) spostandomi su Milano o scegliendo di andare all’aeroporto di Malpensa per volare verso mete intercontinentali, ma pure di isolarmi nella natura semplicemente spingendomi verso i laghi o nelle valli di cui si diceva poco sopra. In fondo, quindi, sono fortunato. L’importante è misurarsi con la realtà sempre con lo spirito giusto. E tuffarsi nella natura è uno dei modi più appropriati per dare manifestazione a un bisogno atavico dell’uomo che è quello di ritrovare se stesso stando nel proprio habitat. Partendo da questi presupposti si capisce il successo di iniziative che mettono la natura al centro, per esempio con una mostra fotografica che restituisce il vero valore di un elemento che ci attrae anche se non sempre riusciamo ad avere il giusto rispetto. Riscoprire la wild life è però un mezzo per comprendere meglio chi siamo e dove vogliamo abitare.
Al di là di qualsiasi logica precostituita e al di sopra di quella retorica ambientalista che spesso finisce per non riuscire a difendere ciò che vorrebbe tutelare, esiste l’istintivo bisogno di andare verso ciò che è primordiale, non è contraffatto dall’opera dell’uomo e ci aiuta a riscoprire il nostro essere e le nostre radici. Non è male come obiettivo. Si può cominciare da una mostra fotografica per iniziare un percorso che ci porterà verso la natura. Cioè verso noi stessi e il nostro essere uomini e donne non artefatti. Più veri.
IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Gli scarpini di Diego Maradona donati al difensore varesino Bruno Limido
Le reliquie di una religione che ha sempre più fedeli
Sono passati tre giorni da un anniversario che è come una ferita nel cuore per chi lo ha amato, al di là del suo talento sportivo (inarrivabile) e al di sopra delle sue sregolatezze (pure quelle non comuni). Quattro anni fa moriva Diego Armando Maradona, il genio del calcio, il simbolo del riscatto del sud del mondo.
Parlare adesso di lui è come immobilizzarlo dentro un presente che non gli appartiene perché lui è eterno. Vedere il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis con il tecnico Antonio Conte e con il capitano Giovanni Di Lorenzo sotto il murales ai Quartieri Spagnoli ricorda una specie di rito pagano di ringraziamento verso un dio. Quel dio che ha saputo infiammare il tifo degli argentini e dei napoletani. Ma non solo loro. Ha richiamato a tutti la vecchia leggenda di Davide contro Golia, del Robin Hood che scompagina i piani del potere costituito, che ruba ai ricchi per dare ai poveri, che incarna il sogno di ogni uomo e di ogni donna: essere giusto, ma al di sopra delle regole perché l’unica norma che guida l’agire dei grandi è l’amore.
Si potrebbe scrivere un libro su Maradona (e quanti ne hanno già fatti?) e non basterebbe ancora per descrivere quello che è stato e ciò che continuerà ad essere. Capace di attirare ogni giorno schiere di adepti, fedeli che sono pronti ad abbracciare questa nuova religione e pure, come succede nei riti tradizionali, per venerare le sue reliquie, quasi come fossero quelle dei santi. Nel caso di Maradona, i suoi segni del passaggio in questo triste mondo (a parte quando vinse gli scudetti con il Napoli e la Coppa del Mondo con l’Argentina) sono rappresentati da ciò che di più terreno possa esserci: gli scarpini. E sono proprio quelle magiche calzature che andranno all’asta grazie a Bolaffi e rappresentano uno dei lotti più pregiati di una vendita che si preannuncia ricca di ogni bellezza. C’è tanta attenzione verso questo nuovo – seppur vecchio – mercato. Di solito si pensa alle aste per i quadri, per i gioielli, per i cavalli purosangue, ma ormai lo spettro d’interesse si è ampliato. Tocca tutti i campi della passione. Dai dischi in edizione limitata delle band più conosciute ai memorabilia sportivi. È chiaro, quindi, che i ricordi di Maradona stiano al primo posto. Hanno due ingredienti in grado di renderli richiestissimi: sono unici e irripetibili. Incarnano un mito che non tornerà più. Per gli scarpini, poi, bisognerebbe ricordare un aneddoto tutto varesino. Bruno Limido, arcigno difensore della Juve e pure dell’Atalanta incontrò il Pibe de Oro nella finale di Coppa Italia del 1987. Lo marcò alla grande anche se il Napoli vinse la competizione. Ma a lui rimasero le scarpe con i tacchetti della Puma, ricordo di un campione, ma soprattutto di un uomo che seppe andare oltre le regole per regalare emozioni ai suoi tifosi. Ops, ai suoi fedeli.
IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Il semiologo canadese Marshall McLuhan ha studiato gli effetti prodotti dalla comunicazione sulla società moderna
Quel ciuffo che spicca dentro il villaggio globale
Sarà il ciuffo, oppure quel modo simpatico e divertente di porsi davanti ai suoi allievi o ai più qualificati uditori, sarà la sua intelligenza creativa o i toni anticonformisti: fatto sta che Vincenzo Schettini sta avendo un successo che lui stesso non si sarebbe mai immaginato. Ma una spiegazione c’è per quei suoi due milioni di followers e per i suoi sold out dovunque si presenti a raccontare a suo modo la fisica. Il motivo di tutto questo seguito è da ricondurre ai social, a quel gigantesco mondo che ci circonda e del quale nemmeno ci rendiamo conto. Marshall McLuhan parlava, già negli anni Settanta, di villaggio globale. Ora siamo andati a finire molto più avanti. Ci troviamo immersi in un universo di stimoli che ci colpiscono e ci attraggono. Applausi al prof, allora, perché è riuscito a riempire di contenuti seri e interessanti quelli che di solito sono contenitori vuoti, buoni solo da scrollare per passare il tempo.
Doppio è il vantaggio dell’operazione Schettini. Da una parte premia colui che ormai è richiesto come il prezzemolo per interviste e convegni, dall’altro va ad arricchire il bagaglio di conoscenze di chi ha desiderio di crescere e di capire. E vi pare poco? Dunque ascoltiamo il prof di fisica perché può condurci per mano dentro un mondo di solito vacuo, che lui riesce a colmare con i contenuti.
Da qui nasce un’altra domanda fondamentale rispetto a quello che sta facendo. Ma come è possibile che riesca a stare dietro a tutto, a produrre contenuti sui social, a insegnare e a svolgere tutte le altre attività di conferenziere e di divulgatore che ormai caratterizzano le sue giornate?
Ci mette tanta passione, è vero. Ma ciò non sarebbe sufficiente se dietro a quello che sta facendo non ci fosse un progetto. È partito quasi per caso ma ora è un solido e radicato modo per portare la cultura anche a chi di solito si mostra refrattario e resistente. Questa è la vera rivoluzione: utilizzare il ciuffo per attirare persone interessate a capire e comprendere il mondo circostante, fare buon uso di un linguaggio a portata di mano per entrare nel cuore e nella testa delle persone.
Ormai viviamo in un mondo in cui il livello mediatico e della comunicazione è tutto. Spiace dover scomodare ancora il semiologo canadese McLuhan per ripetere la sua lezione: il medium è il messaggio. Parafrasandolo si potrebbe dire che Schettini è il miglior interprete di ciò che vuole insegnare e, proprio per questo, va a segno. La dimostrazione che, in un mondo disomogeneo e frastagliato, c’è spazio per chi dice bene le cose chiare. Non è poco. È tutto.
IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Antonio Salieri trascorse la maggior parte della sua vita alla corte imperiale asburgica di Vienna
La strada che porta alla vetta è sempre la più difficile
Gli alpinisti? Gente che non ha capito quanto sia bello stare sul divano a guardare la televisione. Personaggi, in verità, che invidiamo perché non siamo capaci di essere come loro. Siccome il mondo è composto più da Salieri* che da Mozart, i tipi come Matteo Della Bordella finiscono per diventare un po’ antipatici. Stanno in quel gotha che, o te li fa amare alla follia, o te li fa guardare con sospetto e un po’ di acidità, richiamando in noi il classico meccanismo dell’uomo medio, tanto diffuso quanto disdicevole: «Perché lui e io no?». Vi consigliamo di andare a vedere su YouTube le avventure dell’alpinista o di ascoltare i suoi racconti. Vengono i brividi anche solo a immaginare la sua vita in parete, le ascese pazzesche, le soste sospeso in aria.
Alcuni studi sostengono che gli alpinisti più coraggiosi non posseggano nel cervello alcune cellule deputate alla paura. Non so se questa sia una leggenda, oppure sia vero. Ma vedendo quello che fa l’alpinista varesino viene davvero da pensare che lui il timore non lo conosca, che il coraggio sia scritto dentro il suo dna. E quindi, noi, poveri Salieri, ci ritiriamo in buon ordine. Torniamo a guardare la tv, al calduccio delle nostre casette, e lasciamo a lui le epiche imprese sulle montagne del mondo. Scalare, però, è il sogno di ogni uomo. Salire verso la vetta è emblema, simbolo della nostra vita fatta di tante difficoltà, di passaggi tortuosi, complicati, quasi impossibili, ma una via d’uscita esiste sempre. Spesso è nascosta, impervia da raggiungere, ma, quando stiamo per cadere, sospesi sul filo della nostra traballante esistenza, c’è il classico colpo di reni che ci tiene su. Sapete il bello qual è? Quasi sempre la strada migliore non è quella comoda e in discesa. Come in montagna il sentiero che ci porta alla vetta è quello buio e periglioso. Ci addentriamo nel fitto del bosco, così come Dante fece nella selva oscura, e speriamo di trovare la soluzione al nostro rebus. Non sempre ci riusciamo ma la lezione che ci arriva da Della Bordella, naturalmente, è di non arrenderci mai. Lui sta su una montagna, da solo e al freddo. Noi stiamo in città piene di comfort: possiamo non riuscirci? La sfida è lanciata.
È vero che siamo tutti Salieri ma qualche volta anche noi – timidi, malfermi e spesso invidiosi – possiamo trasformarci in Mozart e far diventare il nostro compitino un capolavoro. Fuor di metafora alpina e musicale: la nostra vita è sempre su un filo sottile e ci chiede ogni giorno tanta forza e tanta resistenza per raggiungere quella meta che si chiama coronamento dei nostri sogni. Anche se piccoli, a noi sembrano vette ripide e scoscese. Quando le raggiungiamo ci sentiamo un po’ come Matteo quando arriva in cima: felici.
*Antonio Salieri, musicista e compositore del Settecento. Nel film del 1984 di Milos Forman viene ipotizzata la sua responsabilità sulla morte di Mozart in quanto più bravo di lui
IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Non ci capiamo niente delle piante e degli animali
Viviamo immersi in un mondo che non conosciamo. L’unica certezza che abbiamo resta legata all’enorme volume delle cose che – come diceva Socrate – non sappiamo. Una, per esempio, è quella che Francesco Rossetti spiega nelle prossime pagine e che parla di un particolare software che permette di percepire la musica delle piante. Sì, avete letto bene. I fiori, gli alberi e le essenze emettono dei suoni che, adeguatamente decodificati, producono melodie che saranno presentate in uno spettacolo a Milano. Tutto ciò è possibile tramite speciali variazioni elettriche che permettono alla vite, piuttosto che al susino, al ciliegio invece del nespolo o dell’ulivo, di esprimersi secondo la normale scala musicale.
Lo so cosa state pensando: il mondo ormai è in mano ai pazzi. Anch’io ho detto così all’inizio. Poi mi sono documentato e ho capito che bisogna cambiare il livello di percezione per comprendere, come si diceva all’inizio, il mondo che ci circonda.
La lezione delle piante, dunque, arriva nel momento in cui le nostre certezze si stanno sgretolando perché l’approccio razionale mostra le sue pecche. La nostra storia non procede in maniera lineare ma spesso è fatta di traumi e di cadute, di fermate e di ri-partenze. Gli alberi, nel loro naturale silenzio, sembrano essere le creature più asettiche del mondo. Invece no. Conservano quella che gli antichi chiamavano anima, fedeli a un concetto panteista del mondo, secondo il quale dio si esprime dentro la natura. Ma sarà davvero così? Boh. Il regno vegetale, comunque, ci ricorda che siamo noi a non possedere gli strumenti di conoscenza adeguati. Dobbiamo smettere i nostri panni umani per immergerci dentro ciò che non conosciamo. E possiamo farlo grazie alla nostra intelligenza che ci permette di costruire degli strumenti adeguati di decodificazione. Discorso simile può valere per il mondo animale. Quando il vostro cane vi guarda con occhi languidi cosa pensate? Lungi da noi qualsiasi tentativo di umanizzazione, ma si percepisce sia per gli animali sia per le piante un livello di espressione che ubbidisce a regole diverse delle nostre ma che non è meno efficace. Dunque siamo noi che, chiusi dentro i nostri metodi percettivi, siamo sordi di fronte al mondo che ci circonda o è tutto ciò che è altro da noi che non si vuole fare riconoscere?
Il quesito è difficile da risolvere. Bisognerebbe procedere con la sperimentazione arrivando a un metodo scientifico tanto provato quanto falsificabile. Per cui ci accontentiamo di fare un passo indietro. Ci rivestiamo di umiltà e ammettiamo di non capirci niente. Né sulle piante, né sugli animali. Figuriamoci sugli uomini e sulle donne.