Quegli errori che ci aiutano a scoprire la verità

Noi siamo convinti che la nostra vita proceda su una linea regolare e prevedibile. Ci impegniamo a programmare il nostro futuro e a provare a modellarlo a nostro uso e consumo. Nulla di più sbagliato. I migliori risultati, di solito, nascono dai nostri errori.

Una lezione in proposito ci arriva dalla cucina. E lo spieghiamo con ricchezza di particolari alle pagine 12 e 13. Scopriamo, perciò, che alcune delle ricette per i piatti e per i dolci più buoni sono nate da inesattezze o addirittura da marchiane gaffes nell’esecuzione della pietanza. Dal campo culinario è abbastanza semplice trasferirsi in quello esistenziale o, addirittura, scientifico. C’è una corrente della filosofia, meglio dell’epistemologia, che spiega come le teorie sulle quali si basa il mondo siano facilmente falsificabili (Karl Popper), cioè può valere l’esatto contrario di quello che si sostiene. Meglio non chiamare in causa i cosiddetti terrapiattisti perché si finirebbe con facilità dentro un ginepraio dal quale diventerebbe difficile districarsi, ma è a tutti noto che fu Galileo a dimostrare che la terra girasse intorno al Sole. Fino a quel momento (siamo nel Seicento) valeva un altro paradigma che lo stesso scienziato fu costretto ad accettare, salvo andarsene in esilio non prima di aver pronunciato la famosa frase «eppur si muove», che gli valse l’abiura della Chiesa.

Non so se questa ricostruzione sia esatta nei termini ma lo è nei contenuti. In questo caso non è stato un errore a determinare un progresso scientifico ma la capacità, da parte dello scienziato, di mettere in discussione tutte le conoscenze dell’epoca per far sì che il cammino di evoluzione dell’uomo si accrescesse. Ed è esattamente quello che ci insegnano le ricette sbagliate. Dimostrano in cucina quello che l’epistemologo Thomas Kuhn nel suo libro “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” ha cercato di spiegare. Se non si ha l’ardire di mettere in discussione i paradigmi esistenti, non si riesce ad arrivare alla risoluzione dei problemi, anche a costo di sbagliare. A volte, proprio quell’errore apre una via che ci permette di progredire.

Diciamo che non c’era bisogno di Thomas Kuhn per arrivare a queste conclusioni. Già il filosofo presocratico Eraclito aveva riassunto il concetto nella famosa frase – citata tra l’altro da un cabarettista che andava di moda una trentina di anni fa – che recita: «Chi non si aspetta l’impossibile, non scoprirà la verità». Bisogna fare tesoro di questa massima, non solo in cucina ma nella vita di tutti i giorni. Magari non scopriremo gli archetipi che reggono il mondo ma almeno non rimarremo delusi. E – credetemi – è già qualcosa.