#Oltre n°33/2024 | Il linguaggio è lo specchio del mondo che cambia

#Oltre n°33/2024 | Il linguaggio è lo specchio del mondo che cambia

Il linguaggio è lo specchio del mondo che cambia

Il limite del mio mondo è il limite del mio linguaggio». Lo diceva Ludwig Wittgestein, uno dei filosofi del Novecento che più ha inciso sul pensiero contemporaneo. La sua frase rappresenta l’esatta decodificazione di quello che sta succedendo nel nostro contesto umano e sociale, infarcito di termini anglofoni e di parole tratte dallo slang che si usa sui social. Un melting pot dentro il quale è difficile orientarsi.
Il linguaggio, quindi, mostra la totale contaminazione dei mondi, e riprende pure la sfida tra reale e virtuale. Dentro questo universo ci si può perdere se non si hanno adeguati strumenti di comprensione e a pagarne le conseguenze sono soprattutto quelli un po’ avanti nell’età che sono rimasti fermi alla semiotica di derivazione classica, quella secondo cui ai segni corrisponde un significato ben specifico. Adesso non è più così: ogni parola nasconde una spiegazione che può essere diversa da quello che ci aspettavamo e ci proietta dentro un mondo che non conosciamo.
In questo mondo si approfondisce la distanza generazionale, si percepisce la differenza tra giovani e meno giovani, si entra dentro un labirinto dal quale è difficile uscire perché, come si diceva all’inizio, non si possiedono gli strumenti per trovare la via d’uscita. Torna, dunque, la spiegazione di Wittgestein che ci conduce dentro quel paradigma che interroga la filosofia del Novecento secondo il quale le risposte alle domande essenziali dell’uomo (chi sono, dove sono, dove vado) non possono trovare una risposta concettuale ma si basano solo ed esclusivamente su quesiti linguistici. Il discorso si fa complesso perché difficile e complicata è la filosofia contemporanea, non è semplice e immediata come quella che ci ricordiamo dal liceo e risale al periodo dell’antica Grecia. Anche questo, d’altronde, è un segnale di come la complessità della società viaggi di pari passi con la sua evoluzione e con la difficoltà di comprensione. Il linguaggio ne è specchio fedele. Ormai stacca – come diceva Marshall Mc Luhan – il significato dal significante e porta dentro quella che invece il sommo Dante definiva la Selva Oscura. Come uscirne? C’è una doppia risposta a questa domanda. Come prima reazione ci si può adeguare al linguaggio che cambia e quindi vestire i panni di supergiovane pur avendo ormai una certa età. L’esperimento non sempre funziona. Spesso è patetico. L’alternativa, come avviene di frequente, sta nell’essere se stessi dentro un mondo che cambia. Ciò non significa arroccarsi, chiudersi come un riccio per pungere tutti quelli che la pensano in maniera diversa, ma adeguarsi ai tempi pur mantenendo la propria autenticità. A partire dal linguaggio.

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#Oltre n°32/2024 | Il segreto per rimanere giovani in eterno

Il segreto per rimanere giovani in eterno

Si può essere giovani dentro e vecchi fuori. Oppure, viceversa, vecchi dentro e giovani fuori. Oppure, più convenzionalmente, si può essere allineati sulla propria età. Giovani: rivoluzionari, ottimisti, propositivi. Vecchi: nostalgici, pessimisti, conservatori. Ma è davvero così? Non proprio. Per colpa della crisi climatica, dirà qualcuno, scherzandoci su, non ci sono più le mezze stagioni. E nemmeno si possono usare categorie statiche rispetto alla dinamicità di una condizione umana sempre più in balia dei tempi che cambiano a una velocità vorticosa.
Non è sempre stato così. Bisogna prendere atto che la tecnologia ha sconvolto le nostre vite. Le ha proprio ribaltate. Queste rivoluzioni avvengono secondo tempi che non sono assimilabili a un battito di ciglio ma caratterizzano le epoche. Un po’ come quando si è formato il linguaggio. O è stata introdotta la scrittura. Sembra ancora di vederli gli uomini simili a scimmioni (vi ricordate una delle scene iniziali di Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick?) che provano a comunicare con la clava. Solo più tardi arriverà il primo abbozzo di espressione verbale. E via di questo passo.
Riprendendo il filo del discorso siamo in un periodo storico in cui si intersecano e si mescolano le differenze anagrafiche ed è ancora più interessante, allora, andare a leggere la continuazione di quel libro che ha fatto epoca tra gli adolescenti (non solo loro) e che s’intitola “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi. Aiuta a comprendere molte cose. O meglio, mette nuove domande dentro la nostra mente già bersagliata dagli input che arrivano da mille parti diverse. Ed è per questo che il nuovo libro dello scrittore bolognese centra l’obiettivo. Lo scopo dell’arte, come della letteratura, è di porre degli interrogativi. Nessuno chiede alla cultura di risolvere i guai del mondo ma almeno ci aiuta a capire, ci insegna a chiederci il perché. In questo sta la sua forza e la sua debolezza. Può cambiare il mondo ma non lo dà a vedere perché si nutre di idee, si alimenta di riflessione e di confronto.
Su questi concetti non c’è anagrafe che tenga. Per questo le categorie di giovani e anziani vanno superate: se ci lasciamo condurre dentro i più o meno intricati meandri del nostro pensare e ascoltiamo il suono e la sostanza delle nostre congetture, scopriamo di essere degli eterni adolescenti. Fuori dagli schemi, fuori dagli stereotipi, oltre le convenzioni. Brizzi può accompagnarci in questo percorso, ripartendo da Jack Frusciante per ritrovare quel tempo che non è più (la nostra giovinezza) ma può essere ancora. Dipende solo da noi.

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#Oltre n°31/2024 | Vuoi vivere meglio? Ordine, pulizia e spirito di squadra

Vuoi vivere meglio? Ordine, pulizia e spirito di squadra

Ordine e pulizia: sono queste le caratteristiche che permettono a una persona di essere rispettosa di se stessa e degli altri.
Quando fai quest’affermazione ti accusano subito di essere o un maresciallo o un non meglio identificato fascistoide che tarpa le ali alla creatività e frena ogni desiderio di libertà, succube di una visione del mondo basata sui formalismi e sull’esteriorità. Coloro che criticano, però, non si rendono conto di una cosa: sono loro a essere fascistoidi perché, dando libertà sfrenata a tutto e a tutti, non rispettano nessuno. E se non la pensi come loro, ti dicono che stai sbagliando. Provate a ragionare su questi concetti e vi renderete conto, invece, di come l’insegnamento che arriva dai monaci buddisti così come dai benedettini, sia il principio fondamentale per permettere una pacifica convivenza civile.
Dall’oriente ci arriva il messaggio che nobilita ogni nostra azione. Pure le pulizie di casa della domenica sono educative. Non sono solo loro a dircelo. Anche chi gestisce le comunità di recupero di persone con dipendenze partono dai piccoli impegni quotidiani per ritrovare autostima e per avviare il riscatto sociale. Il percorso è fatto di successi ma anche di cadute. Invariato, però, deve essere l’obiettivo: essere in ordine e puliti, vivere in ambienti ordinati e puliti ci aiuta a essere più sereni con la mente e a rispettare tutti coloro che devono condividere quei luoghi con noi.
Queste parole hanno un peso determinante in famiglia: chi non rispetta le regole di ordine e di disciplina che vigono dentro la sua piccola comunità trasgredisce il principio base del rispetto e finirà per pagarne le conseguenze. Non venendo rispettato. Eppure non sempre ci accorgiamo delle scorrettezze che combiniamo e di quanto siamo spesso portati a considerare solo il nostro punto di vista. Nulla di più sbagliato.
Accoppiato a ordine e pulizia vige, poi, un altro principio nei monasteri buddisti ed è lo spirito di squadra. Fondamentale è la distribuzione dei compiti in modo da darsi il cambio sui vari servizi così che tutti sappiano fare tutto nel migliore dei modi e si rendano conto, ogni volta, di quanto sia importante il valore del lavoro degli altri. Sarebbe bello se questi principi emigrassero dai monasteri e arrivassero nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie (come si diceva) ma pure nei posti di lavoro e nella gestione della cosa pubblica. Ordine e pulizia non sono solo delle parole fisiche, che comportano una serie di azioni pratiche, ma pure dei concetti importanti affinché la nostra vita sia migliore. Come diceva qu

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#Oltre n°30/2024 | La necessità di essere sempre rivoluzionari

La necessità di essere sempre rivoluzionari

C’è una canzone di Chiesa che mi ha sempre fatto una certa impressione sin da quando ero piccolo e forse ha formato per sempre la mia personalità in senso fortemente nichilistico e dark. Faceva più o meno così (forse si canta ancora ma non lo so perché non vado più a messa): «Se il chicco di frumento non cade nella terra e non muore, rimane da solo: se muore crescerà».
Ecco, l’idea che questo piccolo seme dovesse perire per costruire qualcosa di grande mi dava un po’ fastidio. Ma come – dicevo – il cristianesimo è la religione della vita e qui mi propinano questa storia triste del chicco che finisce sottoterra soffocato? Ah già, pensavo, per la verità c’è pure il sacrificio del Cristo che devo digerire: è il figlio di Dio ma l’abbiamo ammazzato in croce. Insomma, con un po’ di confusione ho affrontato la mia infanzia. Figurarsi l’adolescenza quando scoppiano tutti i quesiti esistenziali nella testa e sono arrivato all’età adulta senza averli ancora risolti. Ma l’immagine del chicco di frumento (Vangelo di Giovanni) mi è tornata spesso nella testa ed ora ne riscopro il valore visto che il seme è decisivo nella trasmissione del codice genetico, del patrimonio di secoli e bisogna sapere guardare oltre la sua morte per capire quanto importante sia la sua trasformazione e il suo divenire altro per trasmettere il passato e farlo ricrescere e rinascere dentro il presente e verso il futuro.
Ecco, non so se la spiegazione sia stata convincente ma il segreto della vita sta proprio in questo perenne cambiamento di stato: da un piccolo semino a una creatura meravigliosa. Questa metamorfosi mi sorprende ancora oggi e mi induce a conservare quel briciolo di fiducia nel futuro che invece veniva demolita dalla canzoncina che io interpretavo solo in modo negativo. Adesso, forse, lo sto capendo: quello che nei millenni è successo nel mondo non è altro che la trasformazione di un seme. Le diverse specie sono andate avanti così. Dalla morte è nata la vita. E così sarà sempre.
La conservazione del patrimonio del passato, inoltre, è un segnale che deve essere conservato con cura in questo mondo di mordi e fuggi, di presente cristallizzato e di costante evanescenza e inutilità di tutto. Il seme ci ricorda che nulla è oggi senza ciò che siamo stati. Ce lo dice la storia. Ce lo insegnano a scuola, senza necessità di tirare fuori la famosa frase di Bernardo di Chartres secondo il quale «siamo nani sulle spalle di giganti». Ma anche – non dimentichiamocelo mai, semi permettendo – rivoluzionari. Questo ce lo spiega Eduard Limonov, l’eroe del libro di Emanuel Carrere che ora è diventato un film. Andate a vederlo.

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#Oltre n°29/2024 | Il napoletano sta in spiaggia il milanese corre sempre

Il napoletano sta in spiaggia il milanese corre sempre

C’è una barzelletta che fa più o meno così: un napoletano e un milanese sono in spiaggia; il primo ascolta e fa domande, l’altro risponde e racconta. Che lavoro fai? L’imprenditore. E quanti soldi hai? Ne ho tanti. E cosa te ne fai? Ho cominciato con una piccola ditta, poi l’ho ingrandita, dopo ne ho comprata un’altra, poi non bastava più, ho aumentato ancora di più il mio mercato e adesso vendo anche all’estero e guadagno sempre di più. E cosa farai ancora? Continuerò così finché avrò un po’ più di tempo libero e verrò da te in spiaggia. Bravo e io già sono qua tutto l’anno. Fine della storia.
Quando siamo distesi al sole, cullati dal rumore delle onde, a volte pensiamo che stiamo sbagliando tutto. Che corriamo per tutta la vita ma basterebbe fermarsi e mettersi in riva al mare ad ascoltare la sua voce e a scrutare l’orizzonte per sentirsi appagati. In fondo, non avremmo bisogno d’altro. E ce ne accorgiamo quando riusciamo a entrare in simbiosi con la natura. Ma non è così facile. La vita da spiaggia riserva anche altre incognite che non sono esattamente romantiche come le abbiamo raccontate poco sopra. Esistono una miriade di variabili che vanno dalla partita con i racchettoni del vicino d’ombrellone con annessa pallina che ti colpisce in volto, all’invasione dei sup (stand up paddle), la moda del momento, che occupano tutti gli spazi in spiaggia e diventano pericolosi in mare, oppure i discorsi fiume, la crema mista a sabbia, i giochi di società e tanto altro ancora. Potrebbe essere lungo l’elenco degli elementi di disturbo in spiaggia, a meno che non si decida di trascorrere la propria vacanza in una di quelle località dove si fa fatica ad arrivare o è da super vip con tutti comfort.
Resta comunque la contraddizione tra la bellezza degli elementi naturali e l’opera circostante. Così come spiega all’inizio il napoletano, la bellezza sta nella semplicità. Appena vuoi mettere becco nella natura, credendo di dominarla, costruendo di tutto e di più, finisce che fai peggio di prima.
In verità non è proprio così, la barzelletta non restituisce l’esatta dimensione della vita ma ne dà una descrizione parodistica che porta a interrogarci. Lo potremo fare, tanto più, in queste giornate di sole e, se possibile, di mare. Pur con i mille difetti che può avere la vita da spiaggia è pur sempre sinonimo di vacanza. E la vacanza, per definizione, è la capacità di uscire dalle consuetudini, la libertà finalmente di essere se stessi tra un maxi stecco e un tuffo, un sorriso e una corsa in pineta. Ben vengano, dunque, le ferie perché ti permettono di ricaricare le pile e di riprendere presto a correre. Appunto. Come ci insegna il milanese.

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#Oltre n°28/2024 | La migliore lettura estiva si trova da Ubik (non uno spot)

La migliore lettura estiva si trova da Ubik (non uno spot)

Parlando di letture estive non si può non citare Ubik. Il nome, oggi, evoca quello di una catena di librerie che, richiamando il termine latino Ubique, sta a significare “ovunque”: un buon libro – insomma – si trova dappertutto. Andate in una Ubik, allora, e troverete quello che cercate. Soprattutto in estate. Ma non è uno spot. E ora capirete perché.
Per chi è appassionato di letteratura del Novecento, e soprattutto di fantascienza, Ubik ricorda il titolo di un romanzo che io ho letto durante una vacanza al mare. Mi avevano parlato molto bene di Philip Dick come genio visionario, come autore un po’ ostico ma di straordinarie capacità metafisiche, abilissimo a manovrare le invenzioni della sua mente pazzoide. Mi sono accostato con tanta diffidenza, non essendo appassionato né della fantascienza, né tanto meno del genere distopico che ti porta in un futuro spesso costellato di lutti e di tragedie. Ma quel testo dell’autore americano ti prende e fai fatica, anche a distanza di tempo, a non pensarci. Voi direte, cosa ci sarà di così bello nella farneticazione di un appassionato di sostanze stupefacenti? Se lo scrittore è diventato un personaggio di culto un motivo ci sarà e lo ritroverete in Ubik, così come in altri suoi libri, uno dei quali venne preso dal regista Ridley Scott a soggetto di Blade Runner, capolavoro del cinema e pietra miliare di quel genere in cui si fa fatica a distinguere tra la finzione iperrealista su un futuro che deve ancora arrivare e il reale di un presente che sfugge.
Ubik è poco lettura estiva ma io ve lo consiglio lo stesso perché si articola su due piani e non è semplice distinguerli, si va avanti e indietro nel tempo, toccando con mano un universo in cui la vita convive con la non vita. Basta uno spray per esserci o non esserci, un soffio flebile che può cambiare tutto in un istante. Cosa dire di più di Ubik? Niente, bisogna leggerlo per capire che la prosa a volte non scorrevolissima di Philip Dick svela segreti che ai più paiono insondabili. Il tutto, poi, si aggancia a una storia ambientata tra terra e luna, tra missione spaziale e sabotaggio con i rapporti tra le persone che diventano lo specchio di una condizione umana – quella attuale – in bilico tra sentimenti e tecnologia. Per trovare il bandolo della matassa, allora, basta affidarsi a Ubik.
Per altre letture estive, invece, non saprei cosa consigliarvi. Sara Magnoli, molto più esperta di me, ne indica alcune e sono senz’altro più centrate rispetto a un romanzo uscito nel 1969. L’importante, insomma, è che leggiate. Ce lo dicevano già a scuola ma non sempre abbiamo ascoltato i nostri prof. Leggere, soprattutto adesso che siamo tutti schiavi del dio telefonino, è uno dei modi più efficaci per tornare a essere se stessi. Ripartendo da Ubik..