«Quando mi sono messo a lavorare a questo disco, mi sono chiesto: se dovessi fare l’album migliore che posso, quali canzoni metterei? Quelle che ho non ho scritto io ma che avrei voluto scrivere. Io l’ho vissuto come un disco mio, pensando che le canzoni le avessi scritte io». Adelmo Zucchero Fornaciari aggiunge un altro mattone alla sfarzosa dimora della sua carriera. E lo fa con argilla altrui che ha rimodellato a tal punto da rendere sua. Discover, una riscoperta ma anche uno svestire e rivestire dei propri panni. Questo il titolo, e lo dice già la parola, del sospirato cover album. Durante l’ascolto gli effetti psicologici della pandemia si avvertono bene: «C’è un velo di malinconia – ammette Zucchero -. Non ci sono brani aggressivi o tirati. Sono partito con cinquecento titoli che ho poi scremato in tre anni, pensando a quando suonavo nei club con la prima band del paese. Ai tempi non c’erano ancora i dischi vecchi, quindi non dovevamo suonare per far ballare la gente. Ci facevano fare un’ora e mezzo come se fossimo stati un’attrazione pur senza essere famosi. Facevamo Genesis, Pink Floyd, Jethro Tull».

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