Nel linguaggio del pugilato mettere qualcuno alle corde significa costringerlo in una posizione quasi senza scampo, praticamente senza via d’uscita. Quando un boxeur finisce con la schiena incollata alle strisce elastiche che delimitano il ring solitamente sta subendo l’avversario e raramente si sottrae al k.o. Per questo, nel linguaggio comune, essere alle corde ha un senso di resa o di fine imminente e annunciata. Però, come sempre nella vita, le cose dipendono da come le si guarda. E non c’è verdetto già scritto che non si possa ribaltare. Per questo oggi il pensiero rincorre vecchie storie di sfide sul quadrato, come esempio della capacità di sovvertire situazioni compromesse o di resistere ai momenti difficili e bui e ripartire verso la vittoria. Questione di attualità visto quello che sta accadendo a tutti noi in questi amari mesi. Siamo in qualche modo alle corde e allora è bene ricordare che c’è chi ha saputo usarle magistralmente per restare a galla e ripartire. Tra i miei ricordi c’è un memorabile match combattuto negli anni ‘70 tra Carlos Monzon, il campione dei pesi medi argentino, l’indio indomabile che pose fine alla carriera sportiva di Nino Benvenuti, e l’americano Bennie Briscoe. Accompagnato dalla fama di invincibilità che si era conquistato in tanti scontri, Monzon trovò sulla sua strada nella difesa del titolo mondiale un combattente che non arretrava mai, capace di incassare colpi tremendi e di incalzare comunque l’avversario. Nella nona ripresa dell’incontro, con l’argentino in vantaggio ai punti, lo sfidante di Filadelfia sferrò una serie di colpi in grado di
spedire il campione, scosso e quasi incredulo, contro le corde. Sembrava fatta per l’americano ma proprio le corde, usate con sapienza da Monzon, furono la sua salvezza. Utilizzando la loro elasticità non piegò le ginocchia e anzi muovendosi da un angolo all’altro del quadrato, e usando il suo corpo come fosse un sasso tra gli elastici di una fionda, si sottrasse ad altri colpi che sarebbero stati sicuramente letali. La medesima abilità nel rimbalzare tra quelle che per altri sarebbero state delle trappole fatali la mostrò nei match con il francese Jean-Claude Bouttier e anche nell’epico scontro finale contro
Rodrigo Valdez. Quel limite dello spazio di combattimento, da tutti temuto, per Monzon era in realtà una risorsa da sfruttare in maniera diversa, non una morsa dalla quale evadere ma un aiuto per superare momenti critici.
Essendo in qualche modo il pugilato una possibile metafora della vita, il particolare tecnico ci aiuta a ricordare come si possa e si debba sempre tentare di sfruttare al meglio le opportunità a portata di mano, anche nei momenti più cupi. Spesso riteniamo limiti invalicabili quelli che non lo sono, talvolta cediamo alla tentazione di sentirci impotenti di fronte all’incalzare degli eventi. Proprio allora vale la pena di pensare che schivando, rimbalzando, muovendosi con abilità e resistendo si può tornare al centro del ring e portare a casa il risultato.
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