l fatto che Vasco Rossi abbia 70 anni è una cosa che non sta né in cielo e né in terra perché resterà il ragazzo di Zocca, punto, la più grande rockstar italiana di sempre. Che poi Gianni Morandi, che di anni ne ha perfino qualcuno in più, canti e balli e corra sul palco di Sanremo, come un giovanotto in divisa mandato a comprare il latte dalla mamma o a inginocchiarsi da te, non stupisce più nessuno. Anche perché di fianco a lui c’è un Jovanotti che pare un trentenne, e non è più, o un’Iva che canta l’eros o un’Orietta che duetta con Fedez e Lauro. Tralasciamo i Rolling Stones perché preferiamo i Beatles, anzi David Bowie, ma non possiamo non citare Ornella Muti che a fianco ad Amadeus al Festival o a Celentano in Innamorato pazzo non ha lasciato sul volto alcuna ruga di distinzione per farci indovinare quanto tempo è passato. Si potrebbe pensare che sia sempre il solito tema: non vogliamo invecchiare. Ma forse non è più (solo) così.

L’idea ora è quella di abolire le fasi, anche se la vita e la storia sono fatte di fasi. Ci disturba il processo evolutivo perché lo consideriamo quasi sempre involutivo. Sappiamo che l’elaborazione di un lutto, la fine e l’inizio di un amore o di un rapporto e la vita di una persona vivono di fasi, ma preferiamo fissare il presente in una fotografia, sempre la stessa, sul nostro profilo nei social network, un’immagine, a lungo la stessa, che ci ritrae in un momento e resta quella, anche se noi evolviamo, invecchiamo, tagliamo o perdiamo i capelli. Il problema profondo è che dell’evoluzione, dei cambi di fase, che pure sappiamo esistere, ci disturba l’impossibilità di controllarne i rapporti di causa ed effetto. Non sappiamo se nella fase successiva alla presente saremo o no felici, avremo o no successo, piaceremo o no al mondo e a noi stessi. E questo è l’aspetto critico del nostro inconfessabile ma ostentato desiderio di abolire o di disconoscere le fasi dell’esistenza.

Per gli artisti, però, ma non soltanto per loro, c’è anche un’idea positiva al fondo del desiderio di abolire le fasi, c’è la ricerca dell’assoluto, di qualcosa che ci sia per sempre e immutabile, e per chi crede la risposta è chiara. Per chi non crede la risposta è nella ricerca del classico, declinazione laica e culturale dell’assoluto. Il Partenone è per sempre, anche se non era così com’è ora. Albachiara è per sempre, anche se è del 1979. I Promessi sposi sono per sempre, anche se si lasciano. Gianni Morandi corre per sempre, anche se è un signore di una certa età. Se il cambio di fase disconosciuto e/o negato non produce stonature o ridicolo, ma anzi sentimenti e sensazioni positive, sei diventato un classico. Altrimenti no.

Non vale soltanto per l’arte. Sei persona per sempre, anche se la tua vita è fatta a fasi. E padre. E madre. E perbene. Insomma il bene è un classico, il resto no. Per fortuna.