Chi passa dal museo della Grande Guerra di Borgo Valsugana, in Trentino, può notare in una vetrinetta un bottone da divisa militare austriaca forato e un proiettile di fucile italiano, uno accanto all’altro. Sono lì da qualche settimana. Fanno parte di una delle tante storie minime di quell’immensa carneficina che fu la Prima guerra mondiale. La notizia è di ottobre, ed è passata inosservata, occupati come siamo dalla tragedia che viviamo in questo anno. Ma merita d’essere raccontata perché, come tutte le cose misteriose, magiche e sorprendenti dell’esistenza, apre il nostro cuore a un sentimento in qualche modo consolante, che ci avvicina al senso profondo della vita. La nostra vicenda si svolge nel 1917, anno di tremendi combattimenti tra l’esercito italiano e quello austriaco sul monte Ortigara. Quello divenuto famoso anche per la canzone “Ta-pum” scritta da un fante italiano per ricordare i tanti compagni caduti e il cui titolo si rifà al sinistro suono dei colpi esplosi dai fucili dei cecchini. Possiamo anche aggiungere che questa storia, o meglio il suo epilogo, ha avuto un nuovo inizio nel 2018, in ottobre, quando il Triveneto fu colpito dalla famosa tempesta Vaia, che abbatté, con venti che soffiavano a quasi duecento all’ora, milioni di alberi sui monti. Quella furia sradicò anche tantissimi faggi in un bosco del monte Civerone, alle pendici dell’Ortigara. Qualche mese fa uomini della Forestale, che stavano proprio facendo un controllo in zona, videro spuntare da una sottile trincea, che per cent’anni era rimasta nascosta nel fitto della boscaglia e sotto le radici, dei resti umani. Accanto alle ossa, brandelli di divisa e poi un bottone e un proiettile. Il bottone aveva un buco di lato, causato proprio dal proiettile italiano. Dai successivi accertamenti si è potuto stabilire che quei poveri resti erano di un fante austriaco evidentemente centrato da un tiratore italiano. Così 103 anni dopo essere morto in combattimento, e dimenticato in quel fossato durante i convulsi spostamenti del fronte di quei mesi, il soldatino ha trovato una definitiva sepoltura. Nel piccolo cimitero dove dalla fine della guerra giacevano i suoi compatrioti caduti su quei monti. Il bottone e il proiettile, invece, sono rimasti uno accanto all’altro, in una vetrinetta del museo. Muti testimoni di una tragedia che un evento naturale ha fatto casualmente scoprire. Perché se non ci fosse stata la tempesta Vaia, forse, il tempo avrebbe cancellato definitivamente le poche tracce di quella morte che per oltre un secolo aveva avuto come mute custodi solo le radici degli alberi da allora cresciuti nel bosco. Il fante senza nome, figlio di un impero defunto e di chissà quale delle tante etnie che componevano quel mosaico di popoli e paesi che fu l’Austria-Ungheria fino al 1918, passerà dunque questo Natale, il primo dopo la sua morte, in un cimitero e non sotto il cielo. Tra i mille misteriosi sentieri che la vita percorre può anche accadere che una tempesta, la quale è in tutto e per tutto una sciagura, abbia tra i suoi esiti perfino qualcosa di bello.
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