Siete stanchi, annoiati, scocciati? Insomma siete tra i tanti che si sono stufati del tran tran quotidiano, della inconcludenza della politica, delle incognite nella gestione della pandemia? Come darvi torto? Ma la colpa, sappiatelo, è tutta della cucina. Potremmo dire della meravigliosa arte della cottura: la parola stufare, ovvero cuocere a fuoco lento, in senso figurato ha un altro significato e rimanda alla fastidiosa sensazione di fumosità provocata da qualcosa dimenticato sulla stufa. Tutto qui. Siamo circondati da cuochi mediocri. Stufare, brasare, cuocere a vapore, a bagnomaria, a fuoco vivo, lessare, bollire. Guarda un po’, a scorrere il ricettario ci si imbatte in quello che fanno a noi, al nostro morale, alla nostra triste quotidianità, quasi che fossimo bistecche o spezzatini. Prede di voraci mangiatori incapaci. Siamo assediati da presunti chef, maestri di padella, inadatti a prepararci una zuppa mangiabile. Ma pieni di pretese, supponenza, superficialità. Ai fornelli sono io – sembrano dire – e qui sono un dio! Mangiare sta minestra o saltar dalla finestra. Corre il pensiero tra taglieri e casseruole e inciampa nel colabrodo. Non più prezioso strumento per filtrare il buono dagli scarti ma sinonimo di buchi nell’acqua e fallimenti ripetuti. C’è da perdersi in cucina, tra similitudini e parallelismi. Ecco anche i cuochi si sono persi e la minestra è salata, immangiabile. Che fare? Non sedere a tavola? Mangiare comunque la sbobba? O ricorrere al vecchio e saggio consiglio culinario delle nonne? A quel “lasa bui” lascia bollire, che con diverse grafie si declina più o meno ovunque sopra il Po. Lascia bollire, lascia cuocere. Ottima raccomandazione per piatti prelibati ma anche sublime ammaestramento di vita: lasciar perdere, soprassedere, non intromettersi nei fatti altrui. Ma anche “lascia fare” augurando, di sottecchi, che sia il buon destino a vendicarci dei torti subiti. Certo si potrebbe cambiare ristorante. Ma ne siamo capaci come singoli e soprattutto come popolo? Oppure quel che passa la mensa alla fine ci sta bene? Anche questo è tema da chiarire. Perché lamentarsi e però continuare a pagare il conto sottende una forma di accettazione se non di complicità. Dicono che più una civiltà si avvicina alla sua fine più la sua cucina diviene leziosa e pretenziosa. Siccome viviamo da tempo in un continuo reality dove l’arte culinaria è materia d’elezione, un brivido mi corre lungo la schiena. Forse ci siamo abituati ai piatti troppo speziati? Siamo così viziati che manca perfino la forza di cambiare? Siamo bolliti, nel senso di assolutamente incapaci di far guizzare i muscoli e il cervello che sono divenuti tenerelli; di dare quel colpo d’ala che serve a staccarsi dal fango? Dobbiamo lasciar bollire e attendere pazientemente che la storia compia il suo corso? Trangugiare quel che passa il menù di giornata? O ricominciare a pensare e cambiare ricettario. Partendo da un semplice e gustosissimo panino con burro, acciughe, responsabilità e libertà.
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