I mostri sacri dimostrano la nostra immortalità
Mi chiedo spesso cosa renda una canzone immortale. Davvero, non è un quesito inutile, non è una domanda da perdigiorno. Se noi scopriamo cosa faccia diventare la musica capace di andare al di là del tempo e dello spazio, riusciamo anche a comprendere una parte di noi stessi, del nostro essere uomini e donne non a una dimensione (quella fisica) ma almeno a due, cioè una materiale e una spirituale.
Già li sentiamo i detrattori che chiamano in causa la combinazione delle cellule (?) che riesce a farci piacere o meno un canzone. Oppure tirano in ballo la chimica per spiegare fenomeni come l’amore. Può darsi che sia così. Ma. da inguaribili romantici, ci illudiamo che ci siano altre spiegazioni e che non possono essere trovate nel livello uno, quello che ci vede composti di gambe e di braccia, di cuore e di cervello, insomma di parti del corpo ben definite e, diciamo così, misurabili. La sostanza, però, sta da un’altra parte che non possiamo né dimostrare, né sottoporre alla nostra analisi razionale. Sfugge ma è la chiave di volta di tutto.
Spieghiamo questa tesi (che poi non si può provare) perché dobbiamo trovare una ragione al successo che ancora hanno cantanti e band di trenta o quarant’anni fa (anche di più). L’occasione è il concerto al Forum di Assago di Bryan Adams. Sfido chiunque a non aver mai ascoltato Heaven, a non essersi fatto trasportare sulle sue dolci note. L’effetto è ancora attualissimo, non a caso i concerti dei mostri sacri sono quasi sempre sold out. Non solo per il cantautore canadese nato nel 1959, ma pure per i Rolling Stones, per Bob Dylan, per Bruce Spingstreen e chi più ne ha più ne metta. Quest’estate sono andati sul palco persino i Sex Pistols, o perlomeno una copia scolorita senza Johnny Rotten e naturalmente orfani di quel Sid Vicius che morì, bello e dannato, nel 1979.
In concerto è meglio, ma la musica continua a mantenere il suo enorme carico di emozioni senza importarsene del tempo che passa. Citare i compositori famosi della classica, naturalmente, è un gol a porta vuota. Così come chiamare in causa coloro che hanno scritto pagine memorabili e indimenticabili con le loro melodie, quali sono stati i Beatles. Si torna, dunque, al tema iniziale, al valore immortale di qualcosa che ci prende nell’animo e non ci lascia più. Per i fans di Bryan Adams ascoltare Heaven è sempre come fosse la prima volta. Ed è lì che sta il valore eterno di canzoni che ci segnano. Ben vengano, allora, i dinosauri (li chiamano così) che tornano sul palco. Nessuna nostalgia, al bando la malinconia, sono la dimostrazione che la musica non morirà mai. E, speriamo, noi con lei.