L’idea che ci sia una distanza quasi incolmabile tra la realtà quotidiana e quella televisiva raccontata dai talk show s’avanza sempre più e si rafforza soprattutto quando il clima è elettorale, dunque quasi sempre in Italia. Lo schema della maggioranza dei talk show – perché non è nemmeno giusto fare di tutt’erba una fascia televisiva – è il seguente ed è semplice: prendiamo i più estremisti delle due ali estreme di un tema e li facciamo discutere dell’argomento scelto dalla politica come tema di scontro quotidiano e/o settimanale, a seconda della frequenza di messa in onda del programma; esasperiamo sempre più i toni sperando che ci si interrompa a vicenda e che si litighi di brutto, che magari qualcuno si alzi e se ne vada, per dire però che è bene non interrompersi e non è bene parlarsi sopra perché se no nessuno capisce nulla, e se qualcuno si alza e se ne va cerchiamo di convincerlo a restare. Poi ci facciamo suggerire qualche ospite sparso o dai partiti o da alcune agenzie di comunicazione di fiducia, magari qualcuno che ha anche un libro in libreria o in uscita, meglio perché così è più disponibile e a qualunque ora del giorno e della notte. E a lui o a lei facciamo fare il o la saggia che dà autorevolezza al programma. E così il racconto televisivo sembra una sorta di Beautiful della politica, senza baci e amori, ma con tante liti e qualche tradimento. Però sempre con la stessa compagnia di giro di protagonisti e soggetti, al punto che è quasi impossibile capire dove inizia un talk, una trasmissione e quando inizia un altro talk e un’altra trasmissione. Così il racconto che ne esce è quello di un paese sempre spaccato in due, sempre in preda agli estremismi, sempre appassionato e infuocato dalla politica e dai temi scelti dalla politica per il suo gioco quotidiano. Poi magari alle elezioni vincono i candidati non estremi. Poi magari alle elezioni va a votare soltanto un italiano su due. E i talk show per cinque minuti si interrogano sulla sorpresa o sul pericolo di due cose poco o punto previste, poco o punto raccontate, per poi naturalmente ricominciare con la trama quotidiana degli opposti estremismi. Come se gli italiani andassero in giro per strada per squadre contrapposte di battaglieri pasdaran di opposte fazioni, pronti a litigare a ogni pie’ sospinto, anzi, dividendo sempre il mondo in bianco o nero, senza sfumature di grigio, figurati 50. Le ragioni dell’audience? Ok. I talk show fatti così costano poco e rendono, anche senza grandi investimenti di idee e di risorse? Vabbeh. Però poi non lamentatevi se finiamo in tanti a guardare su piattaforme in streaming serie tv islandesi sottotitolate.

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