Ce li hanno fatti studiare a scuola e non è che siano sempre stati in cima alle nostre preferenze. Adesso ce li ritroviamo in versione tutta nuova e tutta fresca nella loro culla, cioè a Lecco, dove Alessandro Manzoni ambientò i Promessi Sposi, capolavoro della letteratura mondiale.
È lecito chiedersi che senso abbia un’operazione del genere in un mondo dove il pensiero corre veloce e sembra non esserci più spazio per le gesta di Renzo e Lucia e di tutti quei personaggi che fanno parte di quel canovaccio narrativo che ha attraversato la vita di generazioni di lettori. Il senso c’è ed è presto spiegato. L’eternità dell’opera d’arte, per sua stessa definizione, travalica i limiti temporali e si pone con attualità pure nei momenti di cambiamento come il nostro.
Ma non è solo questo il motivo che riporta i Promessi Sposi su quel ramo del lago di Como dal 14 al 16 ottobre. C’è infatti anche il desiderio di misurarsi con contenuti che non sono solo letterari ma che abbracciano il nostro stesso essere persone di quest’epoca. Verrebbe da dire: noi siamo così perché abbiamo letto i Promessi Sposi. Ecco, allora, dove sta il significato di una manifestazione che recupera sfaccettature diverse del romanzo del Manzoni e le ripropone con quel senso di freschezza che può pure far rinascere interesse e attenzione verso l’opera. Ciò che ha ispirato la riproposizione dei Promessi Sposi è, insomma, la convinzione che senza questo pilastro fondamentale della nostra società, anche noi saremmo diversi. Quante volte, avendo a che fare con i personaggi di qualche ufficio pubblico, abbiamo pensato all’Azzeccagarbugli. Oppure abbiamo incontrato nella nostra vita tanti don Abbondio che “il coraggio, se uno non ce l’ha, mica se lo può dare”. Fra Cristoforo ne abbiamo incrociati un po’ meno. Capponi di Renzo, invece, ce ne sono in quantità industriale in questa società individualista e litigiosa: tutti a combattere contro qualcuno invece di solidarizzare. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Già citando questi esempi si riaprono le pagine del libro della nostra memoria e ci accorgiamo, senza ombra di dubbio e di smentita, che quello che scrisse Don Lisander ha un carica di attualità e di vivacità straordinaria. Ben venga, dunque, la manifestazione di Lecco e tutto ciò che contribuisce ad allargare gli orizzonti e a far sentire la letteratura parte integrante della nostra vita. Spesso un buon libro vale molto più di mille medicine perché ci fa stare bene dentro. Ed è quello che vogliamo davvero.