La filosofia del «boh» per andare oltre Marina

Dici Marina Abramović e rispondi: «Boh». L’espressione non deriva dal fatto di non conoscerla – ormai il nome dell’artista e performer di origine serba è noto in tutto il mondo – ma perché resta sempre un filo di incredulità, se non di imbarazzo di fronte alle sue esibizioni. Sono un autentico tentativo per esplorare se stessi e il mondo, per capire la realtà circostante o, almeno, per emozionarsi; oppure si tratta semplicemente di espedienti pubblicitari, scatenati dal meccanismo dell’auto-convincimento, in cui ci sentiamo anche un po’ presi in giro?
Come si diceva all’inizio, la risposta è: «Boh». Nel 2012 il Padiglione di Arte Contemporanea di Milano ha ospitato il Metodo Abramović. Chi partecipò a quell’evento (non tutti, però) ne uscì entusiasta. Da allora ad oggi il successo è aumentato. L’artista segna il nostro tempo, traccia un solco oltre il quale bisogna per forza voltare pagina. Ed è per questo che – piaccia o non piaccia – va apprezzato il suo impatto. Se non altro fa riflettere su una frase contenuta nella Prima Lettera di Giovanni che viene spesso ripresa quando si parla del periodo in cui viviamo, per lo più caratterizzato dal mordi e fuggi, dal rapido e repentino cambio di prospettiva: sic transit gloria mundi (in italiano: così passa la gloria del mondo; in senso lato: come sono effimere le cose del mondo). Questa è la famosa locuzione latina che richiama Marina Abramović e che ce la riporta in tutta la sua forza dirompente. Ci fa toccare con mano l’estrema labilità del nostro essere e delle nostre azioni. Una perfomance per capire, dunque, e per interrogarsi su quanto sia fragile la nostra condizione. L’arte di tutti i tempi ci insegna questo. La performer americana adatta il messaggio al periodo attuale in perenne cambiamento ed è in questo contesto che si sviluppa una riflessione che deve e può andare oltre la parola «boh».
Il gesto diventa perciò una chiave di interpretazione della realtà. Ma il suo significato non è univoco. È relativo perché diversi sono i punti di vista, diversi sono gli sguardi, così come quando ci poniamo di fronte a un’opera d’arte e ognuno percepirà un messaggio che non è uguale a quello di un’altra persona perché parte da una visuale che non è la stessa. L’arte, dunque, insegna la diversità e il rispetto, il confronto e l’ascolto. Non è poco in un universo come il nostro dove sembra che l’abbiano vinta solo la prevaricazione e la prepotenza. Al «boh» iniziale, quindi, si può contrapporre il «proviamo a capirci». Grazie Marina per avercelo insegnato. Lo sapevamo già, ma è sempre meglio ricordarcelo.

La performance del 2012 al Pac di Milano (@Laura Ferrari): chi vi partecipò vi restò estasiato, alcuni però furono delusi.