L’idea di trovare uno sport in età adulta, molto adulta, non mi aveva mai toccato finché un giorno è successo. Ovviamente per caso e altrettanto ovviamente per una pratica molto particolare, che sfiora l’arte marziale, le arti della meditazione, perfino lo yoga.

Pioveva, in montagna, d’estate; che cosa fare con il dodicenne super sportivo e super attivo? Un cartello a bordo strada diceva: scuola di tiro con l’arco. «Andiamo». Lui prova, io no. Il giorno successivo pioveva, ancora, in quella montagna, d’estate. «Riproviamo, ma stavolta anche tu papà, anche tu Fra!». Non è stato proprio amore a prima vista, è stato un lento crescere di curiosità, poi di seduzione e infine di convinzione, perfino di impegno. Ricordo, per esempio, di aver letto una splendida biografia di un personaggio noto che raccontava come un po’ di guarigione dai suoi mali oscuri era scoccata da un arco istintivo: una coincidenza è bella, ma due sono un segno. La ricerca della compagnia arcieri più vicina è nata in mezzo ai soliti buoni propositi di novità che caratterizzano ogni settembre. E il settembre dopo, che poi è questo, eccoci a fare la prima gara esordienti di tiro con l’arco e per di più nudo, senza mirino, un po’ meno difficile dell’istintivo ma insomma.

Il dodicenne ora tredicenne ha riposto l’arco al muro perché il fascino del calcio per lui è imparabile, meglio i tacchetti non sul muro, ma gli adulti sono tornati un po’ bambini, con quell’emozione che deriva dal senso competitivo, soprattutto nei confronti di se stessi. Ho fatto 449 punti, non importa come mi sono classificato, è importante che la prossima volta mi migliori. E nel frattempo? Libri letti, frecce perse, padiglioni spostati, un coach sempre sorridente che si divide tra il tiro e l’amore per una figlia particolare. Affetti. Il movimento è tutto, quando sento la corda sul viso in quell’esatto punto lì, anche se non miro, vado almeno nel rosso, se tutto il resto del corpo ha agito rilassandosi con determinazione ed eleganza, addirittura nel giallo, al centro. Il respiro segue il tutto e precede il tutto, gli occhi entrambi ben aperti, il suono perfetto della freccia che parte è l’incipit di una sospensione temporale così rilassante da sembrare un buon sonno dai problemi, un suono secco è invece la chiusa finale di uno sforzo minimo, ma pesante. Certo, che bello, uno sforzo che si può fare anche quando si è ben più in là negli anni della maturità adulta. Uno sforzo, che bello, che possono fare praticamente tutti. Qui però invece la chiusa è quella che sta anche nel titolo di questa confessione: dire la verità e tirare con l’arco. È un antico e attualissimo detto persiano. Ben detto.

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