Anche se da piccoli cantavamo “in via dei Matti numero 0”, da grandi sottovalutiamo la toponomastica, cioè l’importanza delle vie. Mettiamo distrattamente l’indirizzo nel navigatore dell’auto o nella app dello smartphone, ma non pensiamo più al fatto che la letteratura come la nostra vita, soprattutto nelle città, sono definite dalle vie, dai corsi, dai viali, dalle piazze, come infiniti punti cardinali utilizzabili a mo’ di bussole nel nostro naufragrare più o meno dolce nel mare delle emozioni e delle esperienze. Dai Ragazzi della via Pal a quelli di via Panisperna, dal Pasticciaccio brutto di via Merulana al delitto di via Poma, c’era chi la sera andava in via Veneto, come il compianto Eugenio Scalfari, e c’era chi cantava Porta Romana, come il signor G., o “il primo amore di via Canonica”, come il maestro Jannacci. Un interessante gruppo – diciamo – indie ha deciso addirittura di chiamarsi Eugenio in Via di Gioia (#daascoltare). La nostra prima casa, il nostro primo bacio, quell’incidente che poteva essere ben peggiore, la scuola del figlio, la multa immeritata, il primo lavoro, dove abitata nonno, dove c’era il circolo, dove quella persona lì chiamava sempre quando eri in quella via lì. E poi le metafore che si sprecano nel cammino accidentato, mentre cerchi la tua via, con un compagno o una compagna di strada, fino al viale del tramonto, “per altre vie, con le mani le mie” (@ Bertoli) e alla fine “did it my way”, come canta Frank Sinatra.
Questo è un altro, sottovalutato, modo per definire i nostri ricordi, diciamolo, le nostre relazioni, le nostre emozioni, i passaggi decisivi del nostro curriculum vitae. È un modo per dare il nome di un altro alle cose nostre. Via Murat per me, per esempio, suona bene e segna un passaggio tra un dentro e un fuori (la città), Maiocchi l’infanzia, Bronzetti l’adolescenza, Libia la laurea, e poi Padova e dei Transiti o fin su a del Casaletto e oggi Tamagno. Se invece abiti in una via dal cognome strano, spesso devi ripeterla quando dai l’indirizzo e prima poi cercherai chi era costui o costei. Perché poi noi in Italia mica scegliamo i numeri come in altri importanti posti del mondo, ché se non sei la Quinta strada non sei nessuno. Qui ci accapigliamo per il nome di una via perché, anche se non lo diamo molto a vedere, sappiamo benissimo che quel nome scritto sul marmo o sulla plastica biancazzurra non è soltanto un modo per non perdersi alla guida.
Con un pizzico di nostalgia mi sovviene che una via è un concetto collettivo, ci passiamo in tanti e quando chiedevi “mi dai il tuo indirizzo?”, a parte che non s’intendeva la mail, si apriva un mondo fatto non solo da lei o da lui; ora invece è tutto più individuale, unico, puntuale, rapido. Basta un attimo, davvero, che ci vuole, “ti mando la mia posizione”.