L’idea di trovare l’originale cui Achille Lauro si ispira, che Achille Lauro copia (Robert Smith dei Cure, Steven Morrissey dei The Smiths, Renato Zero, perfino David Bowie), non è soltanto ingiusta – anche perché tutte le star che sono venute dopo sono figlie di star venute prima, salvo rarissime e clamorose eccezioni – ma soprattutto ci porta via dal cuore del problema. Naturalmente, il cantante romano trasferitosi poi a Milano, la star dei giovani che ama scandalizzare e farsi anche odiare e travestirsi e svestirsi, è sfuggente, spesso respingente, ma mette in scena tre elementi fondanti dell’attuale mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento in generale. Ovviamente, se sei un rapper o qualcosa di simile, devi avere un’infanzia complicata da abbandoni e vite vissute con gente più grande e più sdrucita di te. Ma la vita è vita va rispettata. Il punto sul suo ruolo è un altro. Il primo elemento, infatti, è che ormai anche le opere di un singolo sono produzioni collettive, macchine glam rock di creazione più o meno artistica, catene di montaggio audio-video-testi. Lo ha detto lui stesso, dietro Achille Lauro c’è una squadra e un progetto, una continua costruzione, lavori in corso. E poi uno va al trucco e parrucco.

E qui si inserisce il secondo elemento. «Quattro giorni da sveglio, non lo faccio più», così l’estro diventa perizia nella produzione collettiva, il talento del singolo, qualunque esso sia, è soltanto una delle innumerevoli entrate in un avveniristico equalizzatore che deve trovare un perfetto equilibrio tra intuizione e precisione. Con l’aiuto di tanta tecnologia, certo, ma anche qui conviene non rinnegare il presente, non ostracizzarlo, se no sarà lui a ostracizzare noi, semmai è utile capirlo, a volte correggerlo. «Mi riducono a un’idea», ecco non vogliamo farlo, ma c’è un terzo elemento. L’intrattenimento in generale non è più frutto di una sola opera, è vivere e soprattutto far vivere un’esperienza, fatta di musica (tutti i generi, e Achille Lauro ci riesce, dal melodico al rock, dal rap alla dance, perfino anni 30 e quasi jazz), teatro, soprattutto quello molto teatrale, pagine di libri, trasformismi, fashion, frasi retoriche e shock, social media performance, trucchi, tanti trucchi. «Ridi di me, io di te, ma siamo uguali». Ecco, l’ironia, il senso del limite, forse è quello che a volte un po’ gli manca, ma uno, una squadra capace di ricreare l’intero spettro spettacolare in un’unica storia da raccontare continuamente come questa, beh, comunque va considerata come una produzione artistica da studiare. Poi ognuno può farsi tutte le idee che vuole su quel che dice, rappresenta, evoca. Del resto Achilleidol, come forse un po’ tutti, è «la solitudine nascosta in un costume da palcoscenico», nonostante tutte le squadre dietro e davanti a noi.

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