L’idea che uno come Roberto Baggio sia al centro di una docufiction su Netflix e di una canzone, colonna sonora, scritta da un vincitore di Sanremo come Diodato non sorprende, anzi, consola, rallegra, convince. Di precedenti, in un’antologia sommaria, se ne trovano eccome. Cesare Cremonini, nella stagione dopo la Vespa truccata, ci ricordava che, soprattutto a Bologna, “da quando Baggio non segna più non è più domenica”. Prima di lui, ma sempre un che di bolognese c’era, Lucio Dalla cantava: “Sei mai stato il piede del calciatore che sta per tirare rigore. Baggio. Baggio”. E infine i Pinguini Tattici Nucleari: “Ci vuole coraggio nel ’94 a essere Baggio”. La cosa incredibile con Roberto (per tutti “Robi”) Baggio è che per tutti, appunto, e per tutte le squadre in cui ha giocato, anche se ha giocato poco o nulla, è stato ed è una bandiera. Per Vicenza, per Firenze, per la Juve, per il Milan, per Bologna, per l’Inter, per Brescia. E ovviamente per la Nazionale. Com’è possibile che sia l’unico italiano a memoria di chi scrive che riesca ad abbinare su di sé il riconoscimento assoluto del talento e l’indomabile affetto collettivo? Trovare la risposta a questa domanda significa scoprire il segreto del successo. Roba che neanche il Tenente Colombo riesce a concludere l’indagine, con o senza l’aiuto della moglie. Ma alcune supposizioni si possono fare. Intanto il Divin codino ha sofferto, più volte, e si è sempre rialzato, con classe e calma. E poi è un italiano strano, non entrerebbe nella canzone di Toto Cutugno, e gli italiani amano amare gli italiani strani. Buddha, i silenzi, quello stare al suo posto nonostante e con la grandezza delle sue doti sportive, gli occhi di luce malinconica, il profilo acuminato e quella particolare capigliatura metà Rinascimento e metà trash. Il suo muoversi in campo, con o senza palla, ma con di più, non ha avuto pari dopo Sandro Mazzola e Gianni Rivera, però le doti calcistiche – come recita Diodato – non spiegano tutto l’amore per l’uomo dietro il campione. L’amore non si spiega, certo, ma anche qui delle supposizioni si possono fare. Baggio ha saputo sempre unire la determinazione nella ricerca dell’obiettivo, che sia il gol o una guarigione, alla tranquilla nonchalance con cui chi sa di aver dato tutto e di poter fare qualsiasi cosa in campo guarda con saggia ironia a ogni inciampo, a ogni debolezza, ai lustrini, alle paillettes e alle magagne di un mondo che come ogni cosa al mondo ne ha. Baggio è stato Baggio, un pezzo unico anche se non lo strillava, anche se sbagliava un rigore, anche se il CT non lo convocava, una bandiera, anche se stava poco in una squadra, la bandiera della nostalgica sicurezza di sé che solo chi si sente libero può sventolare. Mai bianca.

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