Spesso, parlando con amici, faccio un gioco. Dico quella che per me è una provocazione, ma in realtà penso contenga una parziale verità: si può intuire il carattere di una persona anche chiedendo da che città viene. Diciamo che è un gioco simile a quello che si può fare chiedendo il segno zodiacale.
Da scorpione, mezzo piemontese, falso e cortese (si scherza eh), e mezzo lombardo, polentone e bauscia, ho infatti sempre pensato che i luoghi comuni legati alle città siano abbastanza veri. O per lo meno se sono diventati luoghi comuni un motivo ci sarà, no? Certo, non è per nulla politicamente corretto dirlo e ovviamente nel generalizzare c’è sempre una buona, anzi, cattiva dose di errore e di presunzione. Non entro nel merito e tantomeno nel dettaglio per non offendere nessuno, ma pensateci: le caratteristiche che di solito associamo, influenzati da film e libri e racconti e amici, a chi viene dalla città X sono spesso riscontrabili nella realtà. Non è un caso che ogni città italiana abbia la sua maschera, fatta di caratteristiche marcate, di luoghi comuni estremizzati e caricaturizzati. Leggendo poi il bel libro di Paolo Maggioni, giornalista Rai e ora scrittore simpaticamente noir & mistery, autore de La calda estate del commissario Casablanca (Sem), mi è venuto in mente che le città poi si prestano spesso, soprattutto a uno e un solo genere letterario e/o cinematografico. È come se avessero un colore che le connota per genere come in uno scaffale di una libreria.
Se penso a Milano, alla questura, ai quartieri periferici e alle vite periferiche (vedi Blocco 181, ora su Sky e su Now), ai parcheggi sotterranei raccontati da Maggioni in un intreccio di trame attuali e interessanti, mi vengono in mente polizie, anni di piombo, un po’ di politica ma spesso con un taglio da cronaca almeno giudiziaria, diciamo giallo o noir. Venezia è bordeaux, come i drappi alle finestre, suoni di danze da signori, tutto film in costume e nobili e palazzi e misteri buffi ma raffinati. Se dici Firenze, c’è dell’artistico (e del comico), senza dubbio azzurro (o viola). Se ricordi Torino, assomiglia alla Milano di Giorgio Scerbanenco o di Giorgio Fontana, ma con un di più di freddo e un di meno di caos e molto buon senso operoso e fiero, tra qualche chiacchiera da tinello, con tratti poetico-malinconici, alla Ceronetti, alla Fruttero e Lucentini. Direi granata, o un mix di bianco e nero, grigio. Napoli è rosso teatro e cuore, commedia ma con amore, amore ma con il sorriso, e se si piange, è a catinelle. Roma i colori li ha tutti, dal nero suburra al bianco soglio pontificio passando per il biondo Tevere sulla biga di uno 007 girato a fianco del Colosseo: chi ha vocazioni imperiali è luogo globale. Se poi uno pensa che l’Italia è il paese raccontato con i più netti luoghi comuni nazionali, si coglie quanto sia assurdo (ma sincero) generalizzare, soprattutto nella patria delle mille maschere, dei mille campanili e dei mille colori.