Mi ricordo certi solitari pomeriggi estivi. E certe tediose domeniche invernali. Mi ricordo, sì mi ricordo. Ho ben nitide alcune immagini, nuvole alte nel cielo, nebbie così dense da faticare a distinguere la strada di casa, paesaggi desolanti, deserti di periferie industriali. Mi sovviene il senso dei pensieri che mi battevano in testa, mi sembra persino di riscoprire il sapore che lasciavano in bocca. Ma certamente è una delle tante stranezze che i nostri fallaci sensi regalano. Eppure quelle sensazioni che fanno parte del mio essere materiale sono risorse magnifiche a cui ricorrere nei momenti più complicati. Sono i mattoncini con cui ognuno costruisce il palazzetto del proprio presente. Nel rammentare mi accorgo che anche allora, tanti anni fa, i pensieri meno allegri erano i più importanti. Perché i bei pomeriggi assolati, i sabati di feste, i giorni dei piccoli trionfi lasciavano ben poco, se non il rimpianto e il desiderio di ripetizioni che mai venivano a comando. Invece i momenti più complicati, le solitudini che parevano montagne tenebrose e invalicabili, i tentativi di scrutare un futuro tutt’altro che rassicurante, quelli erano meravigliosamente produttivi. Con l’andar del tempo ho capito che l’assurda pretesa di una vita programmata e programmabile è un limite da superare. Certo, tra molte letture ero incappato più volte in ragionamenti simili, ma l’esperienza vera l’essere umano non se la fa certo sui libri. Il pensiero oggi la prende alla larga, ci gira intorno, come un uccello rapace che in volute sempre più strette studia il momento per piombare sulla preda. Che altro non è se non l’addio, un bell’addio. Fatto di immagini, appunto, di ricordi e di sensazioni. Abbiamo così tanta disabitudine all’addio, noi contemporanei, che ci pare quasi un delitto. E invece è una costante della vita, e ce ne dobbiamo riappropriare. Certo un buon addio richiede un minimo di forma, una goccia di eleganza e qualche noncuranza. Non grandi cose. Quel poco che basta per distinguere un cialtrone da un galantuomo; chi sa sorvolare da chi resta ancorato pesantemente al contingente. Chi sa attribuirsi il giusto peso da chi si ritiene un purosangue in gara con i somari. C’è chi queste semplici verità le impara subito e chi mai. Ma giudicare gli esseri umani è talmente inutile, meglio non farsi distrarre e semmai dedicarsi alle loro opere, quando sono buone. Ecco, un poco del meglio che forse possiamo fare nella vita è proprio saper riconoscere il bello e lodarlo, tenercelo stretto e per quel che è possibile difenderlo. Sapendo però che anche a quello si può dire addio. Magari un addio ben allestito: meglio, molto meglio, di una permanenza sterile, foriera di tedio e di logorio. E poi pensate: che cosa potrebbero mai fare di meglio, i troppi che si riempiono la bocca dei problemi dei giovani e snocciolano poi solo fasulli progetti per il loro futuro, che dare un bell’addio lasciando spazio? Sapersi fare da parte, questa è davvero un’arte. E a ben vedere è una cosa a portata di mano. Abbiamo tutto il tempo, magari dopo il caffè.

© RIPRODUZIONE RISERVATA