Che cosa sarebbe un albero senza le sue radici? Niente, non starebbe in piedi. Rinsecchirebbe in un attimo. Cosa saremmo noi senza il nostro passato, senza il patrimonio di cultura e di tradizioni che ci hanno tramandato i nostri predecessori negli anni e nei secoli? Poco più di nulla, degli individui senza storia e senza una precisa identità. I teorici della fluidità sono felici di non avere alle spalle né degli esempi né degli scheletri. Ma noi che siamo persone equilibrate ci accorgiamo di quanto conti il nostro patrimonio di conoscenze e di esperienze. Non solo nostre, pure dei nostri avi. Che ci aiutano a uscire dai labirinti della vita a testa alta. Per ripartire. «Siamo nani sulle spalle dei giganti», diceva il filosofo Bernardo di Chartres. E aveva ragione.

Quale migliore tradizione, in provincia di Varese, di quella tramandata dal tessile? Qui sono fiorite industrie, qui si è sviluppato un mercato che ha saputo mettere a frutto le doti di pragmaticità e concretezza di questo popolo. Un impero che è andato spegnendosi con l’impietosa avanzata della concorrenza sleale cinese. Un mondo che sembra perduto ma non lo è. L’enorme patrimonio costruito nei secoli resta a disposizione di un territorio che ha voglia d’impresa e desiderio di rispondere con entusiasmo alla sfide del futuro. In questo senso va intesa la mostra Rosa Alchemico al museo del tessile di Busto Arsizio. È il rimando diretto a una tradizione che ha bisogno di rinnovarsi per mantenersi viva. Sceglie la via dell’arte per ritrovare vigore. Non è una scelta azzardata. E neppure incoerente. Detta una linea che dovrebbe essere la stella polare di una provincia, quella di Varese, in profonda crisi d’identità.

Cosa insegna, allora, Miniartextil? Semplice: l’evoluzione di ognuno di noi parte sempre dalle radici. Senza il rimando a un passato che fa parte di noi, che rappresenta un inesauribile bagaglio di conoscenze e uno stimolo perenne a fare meglio, noi saremmo poco differenti dalle pietre. Continueremmo a perseverare in due errori: 1) il trasformismo, cioè la mutevole necessità di cambiare senza avere agganci sulla nostra storia, 2) la staticità, ovvero l’immutabile condizione di chi non vuole fare passi avanti. Tra questi due difetti sta la strada giusta che è quella di innovare pur mantenendo salde le nostra radici, cambiare senza dimenticare la nostra identità. Solo così è possibile il vero progresso di noi come persone e di tutta la società. La lezione arriva da una mostra internazionale che, giunta alla quarta edizione, segna un solco molto chiaro perché lancia questo messaggio: tutto cambia, tutto è in divenire (lo diceva già Eraclito nel 500 a.C.) ma nulla è possibile senza partire da un punto fermo. Le nostre radici.