Spesso acquisto libri usati sulle bancarelle. Talvolta tra le pagine si trovano vecchie cartoline che venivano utilizzate come segnalibro e poi dimenticate. Una volta ho trovato alcuni foglietti ingialliti dal tempo e con una scrittura non facile da decifrare. Su uno c’era la seguente annotazione “vincere senza combattere, arte sublime e complessa”. Su un secondo “La libertà? Magari non lo farai mai ma devi essere nella condizione di poterlo fare”. E sul retro dello stesso “vivere una vita a bordo ring”. Null’altro. I misteriosi appunti nulla avevano a che fare con il contenuto del volume che li aveva custoditi per anni, una piccola guida delle Alpi dei primi del ‘900. Li ho conservati, insieme al libro, e ogni tanto quando mi capitano tra le mani ci ragiono su. Soprattutto sulla frase della vita vissuta ai bordi del ring. Non posso escludere che l’autore, o l’autrice (non sono un esperto di grafie) fosse un cultore del pugilato ma mi sembra davvero poco probabile, anche collegandolo al tenore dell’altro sulla libertà. Proprio nei giorni scorsi spostando il volumetto sono tornato a pensare alla strana combinazione di frasi. E per associazione di idee ho finito per ricordare alcune delle cose più belle scritte sulla boxe. Non da un uomo, ma per mano di una donna, l’americana Joyce Carol Oates che allo sport dei guantoni ha dedicato un saggio profondo e per certi versi commovente. Lei a bordo ring in effetti c’era stata, ce la portava, quando era bambina, il padre appassionatissimo. Su quel ring, cito a memoria alcune delle considerazioni dell’autrice, si svolge una semplificazione della vita. Ed è per questo che i pugili sono poi spesso impacciati e ingenui fino all’autolesionismo nella vita reale. Sul quadrato infatti c’è un arbitro pronto a dividere e a tutelare il contendente in difficoltà interrompendo lo scontro, cosa che nella vita reale non avviene praticamente mai. Anzi talvolta l’arbitro finisce per infierire a sua volta sul soccombente. La durata di un incontro è stabilita dall’orologio mentre nelle sfide della quotidianità non c’è limite e nemmeno il gong a salvarti o a darti una pausa per riprender fiato. Gli avversari poi, salvo rari casi, non si odiano e alla fine si abbracciano condividendo un destino fatto di dolore e di fatica. Insomma ero preso da questi pensieri quando mi è saltato in mente che spesso noi non abbiamo il coraggio di salire sul quadrato, viviamo a bordo ring. Gli giriamo attorno, con un brivido e un sentimento a metà tra la colpa e il piacere. Poi, con gli occhi fissi sui biglietti, mi sono chiesto quanto poco pensiamo a difenderla, ovunque, quella libertà che talvolta ci sembra perfino noiosa e che a molti invece è tolta o manca da sempre. E a cosa dobbiamo fare per non considerarla mai scontata e per sostenere e aiutare chi l’ha perduta e vuole recuperarla, insieme alla dignità umana. Per ultimo ho riguardato l’appunto sul vincere senza combattere. E penso che sia il più profondo. Mille esempi dimostrano che è possibile, nella vita reale, anche se non è certo semplice. Solo che non ce lo ricordiamo praticamente mai.
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