Tra i tanti fastidi che ci affliggono c’è anche l’ansia del commento. Ben pochi sembrano sfuggire alla mania imperante. Qualsiasi notizia pervenga alle nostre orecchie immediata scatta la voglia di esternare la propria opinione. E non importa se ci si trovi dinnanzi a informazioni sommarie su un qualsivoglia accadimento, e neppure se c’è il rischio concreto che una notizia sia falsa o gonfiata, la voglia di fare considerazioni prevale e scatta più veloce di una pallina nel flipper. Guai a star zitti, guai a non esserci! Intervenire bisogna, subito, a botta calda, senza nemmeno fermarsi a riflettere. Oggi il pensiero si posa su questo tema e qualcuno starà già pensando di commentare a sua volta: bella scoperta! Le cose da sempre vanno così! Non è una osservazione del tutto falsa ma neppure completamente vera. Perché la sovrapposizione della propria idea, espressa con la velocità del lampo, agli avvenimenti prescinde ormai da qualsiasi riflessione. Certo, nelle chiacchiere da cortile o da bar sport il giudizio è sempre arrivato puntuale, ma si tratta appunto di ambiti leggeri, fatti apposta per pettegolare o perfino sparlare, come si diceva un tempo. La questione è che, travalicato l’ambito amicale, la “commentite”, si passi il neologismo, assume aspetti preoccupanti. Cosa dire delle fulminee e spesso esilaranti esternazioni dei politici a botta calda su qualsiasi tema? Quando non si baloccano tra l’ovvio e il banale camminano su scivolosi sentieri che portano al grottesco e talvolta al penale. Oggi il commento spesso sostituisce il racconto, addirittura lo precede o vi si sovrappone in maniera asfissiante. Lo si nota in quasi tutti i media ma soprattutto sui social, patria d’elezione del genere.
Parlarsi addosso, sparlare, puntualizzare, in un girone infernale in cui la parola perde la sua sacralità e diventa rumore di fondo, nenia ripetitiva e scontata. Ecco il festival del rilievo, della considerazione, del parere, della valutazione più o meno benevola, e avanti così verso l’irrilevanza assoluta del pensiero. Se si trovasse uno con il coraggio di affermare “Non so che cosa dire, ci devo pensare…”, forse diverrebbe in breve un mito. Certo se uno al bar stila la propria formazione ideale, magari dando dell’incompetente all’allenatore, non fa troppo male. Così come l’umanità ha sopportato da sempre lo sparlare o straparlare delle comari al mercato. Ambiti ristretti, danni irrilevanti o quasi. Ma quando la platea si amplia, e l’opinione del primo che passa viene presentata come vox populi, il rischio è serio.
Non è pensabile che chiunque possa commentare qualsiasi cosa, in ogni materia, con sfoggio di plateale ignoranza, trincerandosi dietro il paravento della libertà d’ opinione o d’ espressione. Ora impera la moda della cosiddetta narrazione, termine che si sposa alla perfezione con il commento a vanvera. Perché la narrazione non è il racconto, che come tutti sanno può essere vero, falso o di parte. E per questo può venire contestato o ridimensionato. La narrazione è un’ esposizione palesemente aggiustata però, come tale, sembra essere divenuta assolutamente legittima e anzi accettabile. Proprio come il commento sparato a casaccio.
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