IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Saper perdere è un’arte. Come saper vincere. Da ragazzo ricevetti un consiglio che feci mio: “ricordati: vincere, mai stravincere!”. Col tempo ho scoperto che, suffragato da probanti esempi storici, è saggio e lungimirante. Ciò detto, e ricordato che spesso scioccamente sottovalutiamo la nobiltà della sconfitta che invece è materia di culto in altre culture, il pensiero corre alla storiella, senza impegno, di un vincente assoluto. Anni orsono ebbi modo di conoscere, durante una vacanza nelle Dolomiti, un concittadino appassionatissimo di mountain bike. Uno che si sciroppava quotidianamente chilometri in sella, una volta terminato il lavoro in fabbrica, con sgroppate su e giù per le colline e i boschi. Walter S. il suo nome.
La natura non lo aveva dotato di un fisico adattissimo alla bici, eppure i risultati li otteneva, a livello amatoriale era un vero campioncino, nonostante l’età
non verdissima. Dotato di uno spiccato senso dell’umorismo e di un carattere estroverso, gli sentii più volte ripetere, mentre parlava con ciclisti più giovani e più muscolarmente attrezzati che facevano parte della sua comitiva in allenamento in quota: “se io avessi il tuo fisico… vivrei di prepotenza”. L’espressione la usò anche in altre occasioni di conversazione, discutendo di individui con qualità di ogni tipo “se io fossi come tizio…avrei vissuto di prepotenza”. Così una sera gli chiesi di spiegarmi che cosa intendesse per prepotenza. E se provasse una umana invidia per chi aveva avuto doti o opportunità migliori delle sue. Walter S. si fece una risata. E mi replicò: “No io sono contentissimo di quello che sono e di quello che la natura e il caso mi hanno dato. Ho fatto la mia strada, le mie soddisfazioni me le sono tolte in tanti campi. Però trovo strano che gente che ha tanti talenti o tante possibilità si contenti di vivacchiare, non cerchi di essere il numero uno almeno nel proprio campo”.
E aggiunse che la prepotenza, a suo modo di vedere e nel suo personalissimo vocabolario, era null’altro che la naturale spinta che ogni essere umano dovrebbe avere, forza vitale e primordiale, che invita a giocarsela sempre a tutta. Ad affrontare la vita con entusiasmo, senza tentennare, senza risparmiarsi, senza timore per come andrà a finire. “Però non sopporto – aggiunse – quelli che devono tenersi su per stare in piedi. Ovvero i prepotenti e gli arroganti che spesso sono solo dei paurosi”. Lui viveva della propria “prepotenza”, sfruttandola al massimo che gli era consentito. Non gli importava nulla di finire in mezzo al gruppo (non in fondo!) in gare per lui tecnicamente e fisicamente complicate. Fondamentale era partire e tirare al massimo, dare tutto. Una lezioncina da tenere presente in tempi in cui il calcolo, la pigrizia, la paura di fallire, il desiderio di risparmiarsi chissà per cosa e per quando, così come, al contrario, la brama di stravincere a qualunque costo sembrano prevalere specialmente tra i giovani. Non ho più avuto occasione di incrociare Walter. Secondo me pedala felice e contento.
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IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Se i ragazzi, ma anche gli anziani, scoprissero, o ricordassero, che nella vita ci sono lussi impagabili potremmo imboccare strade rivoluzionarie. Intendo impagabili nel senso letterale del termine. Non c’è moneta, metallo o pietra preziosa che li possa acquistare o con cui barattarli. Il pensiero qui si svela subito, e senza girarci intorno ecco snocciolate quelle che ritengo azioni e situazioni che ci permettono di sfuggire alle ganasce della più triste quotidianità e alla palude maleodorante del cosiddetto “saper stare al mondo”. 1) L’alzata di spalle: esercizio fondamentale e solo apparentemente semplice. Perché può essere frainteso e passare per segno di resa svogliata o di
menefreghismo. L’alzata di spalle “elegante” è solamente quella interiore. Ti trovi di fronte ad una sconfitta onorevole dopo aver fatto tutto il possibile? Alza le spalle e prendi fiato. Ti deludono e ti sbattono la porta in faccia nonostante il tuo impegno? Ripeti il movimento e riparti in direzione opposta.
2) L’onestà. Così complesso, questo esercizio, che richiede pratica quotidiana e costanza certosina, dato che le tentazioni, anche minimali, sono in agguato. Tuttavia, se ci si abitua a ritenere assolutamente alieno da noi quello che non si guadagna con fatica, quello che si sottrae ad altri (singoli o comunità) e anche ciò che intellettualmente non è farina del nostro sacco, si finisce per non rinunciare più al suo dolce sapore.
3) Il sorriso. In un mondo di ghigni feroci, di duri da strapazzo, di parodie dell’uomo forte e deciso, chi sa ancora sorridere ha un’arma micidiale. Senza dimenticare quanto è elegante sorridere anche prima di tirare una stoccata a chi decisamente la merita. Non c’è bisogno di abbaiare sempre e comunque.
4) Il silenzio. Questo è un lusso davvero ricercato. Troppi oggi parlano a mitraglia. Pensare e ragionare prima di fiatare è una vecchia e sana abitudine, consigliata, curiosamente, anche da numerosi saggi del passato. E poi tacere, anche se si avrebbe subito qualcosa da dire, non è altro che procrastinare con nonchalance il botto finale.
5) Tre gioiellini. Una volta qualcuno, per quanti sforzi faccia non ricordo chi, disse questa frase che traduco dal francese: “In fondo, nella vita, bastano tre cose, saper dire buongiorno, buonasera e andarsene quando è il momento”. Il lusso della saggezza unita alla semplicità.
6) Marciare. Detto così è semplice. Ma vuol dire sapersi muovere, non restare ad attendere che altri decidano per te. Affrontare l’ignoto. Sulle proprie gambe, sapendo soffrire.
7) La solitudine. Il lusso più struggente e sublime, quello a cui ci si deve accostare con reverenza ogni volta che non vogliamo cadere nella trappola del “tutti fanno così”, che vogliamo uscire dal branco.
8) L’originalità. Altra chicca per intenditori. Da cercare sempre, anche se non la si raggiungesse mai, è una meta impagabile. E qui, per non cadere nella moda dei decaloghi, il pensiero prende una pausa. E ci ride su. Perché uno dei lussi, forse il più impagabile davvero, è saper ridere. Di sé stessi e del mondo.
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IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Tra i tanti fastidi che ci affliggono c’è anche l’ansia del commento. Ben pochi sembrano sfuggire alla mania imperante. Qualsiasi notizia pervenga alle nostre orecchie immediata scatta la voglia di esternare la propria opinione. E non importa se ci si trovi dinnanzi a informazioni sommarie su un qualsivoglia accadimento, e neppure se c’è il rischio concreto che una notizia sia falsa o gonfiata, la voglia di fare considerazioni prevale e scatta più veloce di una pallina nel flipper. Guai a star zitti, guai a non esserci! Intervenire bisogna, subito, a botta calda, senza nemmeno fermarsi a riflettere. Oggi il pensiero si posa su questo tema e qualcuno starà già pensando di commentare a sua volta: bella scoperta! Le cose da sempre vanno così! Non è
una osservazione del tutto falsa ma neppure completamente vera. Perché la sovrapposizione della propria idea, espressa con la velocità del lampo, agli avvenimenti prescinde ormai da qualsiasi riflessione. Certo, nelle chiacchiere da cortile o da bar sport il giudizio è sempre arrivato puntuale, ma si tratta appunto di ambiti leggeri, fatti apposta per pettegolare o perfino sparlare, come si diceva un tempo. La questione è che, travalicato l’ambito amicale, la “commentite”, si passi il neologismo, assume aspetti preoccupanti. Cosa dire delle fulminee e spesso esilaranti esternazioni dei politici a botta calda su qualsiasi tema? Quando non si baloccano tra l’ovvio e il banale camminano su scivolosi sentieri che portano al grottesco e talvolta al penale. Oggi il commento spesso sostituisce il racconto, addirittura lo precede o vi si sovrappone in maniera asfissiante. Lo si nota in quasi tutti i media ma soprattutto sui social, patria d’elezione del genere.
Parlarsi addosso, sparlare, puntualizzare, in un girone infernale in cui la parola perde la sua sacralità e diventa rumore di fondo, nenia ripetitiva e scontata. Ecco il festival del rilievo, della considerazione, del parere, della valutazione più o meno benevola, e avanti così verso l’irrilevanza assoluta del pensiero. Se si trovasse uno con il coraggio di affermare “Non so che cosa dire, ci devo pensare…”, forse diverrebbe in breve un mito. Certo se uno al bar stila la propria formazione ideale, magari dando dell’incompetente all’allenatore, non fa troppo male. Così come l’umanità ha sopportato da sempre lo sparlare o straparlare delle comari al mercato. Ambiti ristretti, danni irrilevanti o quasi. Ma quando la platea si amplia, e l’opinione del primo che passa viene presentata come vox populi, il rischio è serio.
Non è pensabile che chiunque possa commentare qualsiasi cosa, in ogni materia, con sfoggio di plateale ignoranza, trincerandosi dietro il paravento della libertà d’ opinione o d’ espressione. Ora impera la moda della cosiddetta narrazione, termine che si sposa alla perfezione con il commento a vanvera. Perché la narrazione non è il racconto, che come tutti sanno può essere vero, falso o di parte. E per questo può venire contestato o ridimensionato. La narrazione è un’ esposizione palesemente aggiustata però, come tale, sembra essere divenuta assolutamente legittima e anzi accettabile. Proprio come il commento sparato a casaccio.
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IL PENSIERO DEL DIRETTORE
Dobbiamo farcene una ragione, sì dobbiamo farlo, non c’è via d’uscita. Gettate alle spalle consolidate certezze e tranquillizzanti abitudini dobbiamo lanciarci e nuotare nel grande mare delle incertezze, alla ricerca di nuovi lidi. I tempi sono maturi, dovremmo incominciare ad esserlo anche noi. Avanziamo, magari a fatica e a tentoni, in territori nuovi e inesplorati. Lo si deve fare. In fondo, a pensarci bene, è questo il bello. Il destino ha suonato al nostro campanello, come un ospite inatteso che ci ha detto una sola parola, con tono imperativo: partire! Ecco, senza preparazione, così a sorpresa. Finito il tempo delle coccole, ci siamo svegliati di colpo, sobbalzando, come per l’esplosione di petardi. Un sussulto, quasi nemmeno il tempo di pensare, di capire, di realizzare cosa stava accadendo. Ed eccoci dentro una nuvola nera.
Ma le svolte sono così, basta un detonatore per far scoppiare quello che da tempo era instabile. Quante volte abbiamo detto e sentito parlare di cambiamenti da fare, di nuove strade da imboccare, di riforme, di rivoluzioni. Poi il nulla: chiacchiere da salottino, il dibattito velenoso in Tv, gli sfoghi isterici in rete. E invece, eccola la svolta, il taglio netto, la ferita dolente, la paura che incombe. E ti costringe a cambiare. Ti fa traballare, levandoti certezze da sotto i piedi, ti fa vacillare alla ricerca di equilibri nuovi. Sì la situazione era così debole, così vacillante, così malsicura e degenerata che è bastata una spallata. Adesso non è che ci siamo fatti saggi tutti in una volta, non è che abbiamo imparato. Certamente no. Sempre c’è chi non si avvede, del cambiamento, chi pensa che tutto sia come prima, immutabile. Che passata la tempesta si torna a far festa. Indubbiamente lo si potrà sempre fare, ma non come prima. Intanto molti lo hanno capito, e questo è un passo avanti, per tutti. In tutti i sensi. Che non l’abbiano compreso quelli che dovrebbero guidare il Paese, poco male. Si può cambiare. Perché il “tutto muti affinché nulla debba mutare” non sta più in piedi.
Adesso nel nostro cervello, nella coscienza collettiva, c’è una certa insicurezza, c’è la giusta e normale preoccupazione che l’eternità quaggiù è una illusione. Perché l’unica eternità che possiamo realizzare è quella di vivere ogni giorno costruendo qualcosa, fosse anche un’ inezia. Amare e lavorare è uno slogan da abbracciare. E chi non lo sa fare, peggio per lui. Serve sposare la semplicità, la modestia, la conoscenza e la riconoscenza, per quello che ci è dato. Il resto lo possiamo lasciare a chi non ha cuore e neppure fantasia. La pandemia, un dono ce l’ ha fatto. Ci ha aperto gli occhi su quello che c’era di sbagliato, di anormale, di avariato nel nostro modo di avanzare, dentro il futuro. Ora non si torna indietro. Sarebbe inutile e controproducente. Adesso si deve marciare, nuotare, volare verso una nuova stagione. Che sarà anche piena di spine, aspra o ingenerosa. Ma che differenza fa? Le coccole tanto ce le dobbiamo guadagnare e il rumore dei petardi, una volta sentito, non ci spaventa più.
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