#Oltre n°41/2022 | Se ci si sente bene dentro si dorme anche meglio

#Oltre n°41/2022 | Se ci si sente bene dentro si dorme anche meglio

«Il sonno della ragione genera mostri». Quante volte abbiamo sentito questa frase, magari non sapendo nemmeno a chi attribuirla? Ma l’affermazione – che è il titolo di un’opera del pittore Francisco Goya – ci incute timore e spesso è stata usata quasi come uno scudo di fronte al decadere dei tempi moderni. Non è corretto, però, dare di questo sintetico monito una connotazione solo negativa. In verità i mostri – se concepiti in senso artistico – potrebbero anche essere degli spunti per migliorare la realtà in cui viviamo. Basta non averne paura. Affrontarli per superare la loro carica terrificante e farli diventare opportunità di crescita.

Il discorso calza a pennello rispetto alle abitudini del sonno che cambiano e delle quali dobbiamo prima o poi prendere coscienza. I mostri, allora, sono i nostri sogni. Che non devono essere per forza degli incubi, ma spesso diventano delle occasioni per ottenere quel benessere psico-fisico che la vita frenetica non riesce più a regalarci. Svestita la componente filosofica, dunque, il sonno si afferma come ristoro in cui il nostro cervello smette i suoi meccanismi logici e lascia lo spazio a quell’inconscio di cui Sigmund Freud ha scritto a profusione ma il cui concetto originario forse è già superato. Più semplicemente il sonno ci permette di essere liberi, di riposare o di vagare nel mondo della fantasia che, da quando siamo piccoli, ormai abbiamo abbandonato.

Ben vengano, allora, tutti i rimedi per renderlo più confortevole possibile come la coperta ponderale o il letto comodo, l’alimentazione corretta prima di andare a nanna così come il pigiama che non crei sfregamenti. Sono delle cose in più, però, rispetto al sentirsi bene dentro, premessa indispensabile per dormire bene. Parlando di sonno, infatti, non si può tacere chi soffre di disturbi nell’addormentarsi o si sveglia durante la notte. Anche in questo caso non bisogna far sì che i mostri del giorno vengano a prenderci quando siamo a letto. Rovinerebbero il nostro riposo. Ma il nostro cervello non è un meccanismo on/off. Ragiona come vuole lui.

L’unico rimedio rispetto all’insonnia, allora, è di ritrovare quel senso di libertà di quando eravamo piccoli. Provate a pensarci. Fatti salvi per i racconti di paura prima di andare a letto che rischiano di costringere alla veglia anche i bambini più coraggiosi, quando siamo entrati in quell’età dorata che corrisponde all’incirca con la nostra frequenza all’asilo o alla scuola elementare, abbiamo potuto gustare il sonno più bello e ristoratore del mondo perché abbiamo lasciato libero il cervello di imboccare le strade della fantasia e non delle preoccupazioni. Un ritorno a quell’epoca ci farebbe bene. Anche perché ormai dovremmo aver ucciso tutti i mostri che ci facevano paura allora. Ma non ce ne rendiamo conto e continuiamo a farci inghiottire dalle cose che non servono. Svegliandoci.

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#Oltre n°40/2022 | Il matto, l’elemento di incertezza in una vita lineare

Avevo un’amica che leggeva le carte. Non una cosa per ridere. Ci credeva. E si impegnava a decifrare il destino delle persone dentro simboli e semi diversi. Se era ispirata diceva di riuscire ad azzeccare tutto. Parlava di una specie di fluido che si sviluppava tra lei e il personaggio che gli chiedeva lumi sulla sua condizione. E le carte svelavano tutto.

L’ho vista guadagnare parecchio sotto un tendone in una sera d’estate a una festa di paese mentre persone di ogni tipo stavano in coda attendendo il proprio turno. Delusioni d’amore, necessità di sapere qualcosa di più su finanze e salute, voglia di vedere come in un flashback la propria vita: questi gli argomenti principali dei consulti. Mi sono quindi chiesto dove stesse il segreto del suo successo, se nella capacità di leggere i tarocchi o nella forza di persuasione che esercitava sui suoi clienti. Da scettico è evidente che sceglievo la seconda ipotesi come soluzione del dilemma ma non è proprio così. Interpretare i tarocchi non è solo una questione di suggestione psicologica. C’è dell’altro. Non si spiega altrimenti che quest’arte sia arrivata fino a noi dal quindicesimo secolo. Più di cinquecento anni partendo dagli stessi fondamentali e da mazzi di carte più o meno uguali.

Io sono sempre rimasto affascinato dalla figura del matto che comunica un certo genio artistico ma anche disordine e confusione. Così almeno mi spiegava la mia amica. Lo interpretavo come un elemento d’incertezza dentro l’incedere lineare della vita. Mi sono un po’ ispirato a questa figura, pensando che nulla si possa dare per scontato sia nei confronti delle altre persone, sia delle cose che succedono. Il dato dell’imprevedibilità è fondamentale dentro l’esistenza di ognuno di noi e la figura del matto, almeno secondo la mia interpretazione, simboleggia proprio questo sentirsi sempre in balia di un destino pazzerello. Un po’ di paura, invece, mi ha sempre fatto l’appeso perché la sua immagine rimanda a qualcosa di brutto anche se, seguendo l’interpretazione classica dei tarocchi, non si tratta di una carta così negativa.

Tornando al caso della mia amica chiromante resta in sospeso il quesito iniziale tra psicologia e regole dei tarocchi. La lettura delle carte, dunque, è un mix senza valore scientifico, anche se provate a chiedere a chi ci crede, vi dirà che non esiste ombra di dubbio. Ma perché credergli? Appunto, più utile ispirarsi al grande Eduardo De Filippo e tanti altri artisti e letterati, prima e dopo di lui. “Non è vero ma ci credo”.

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#Oltre n°39/2022 | Gli elettrodomestici per spiegare il senso della vita

Una lampada, un frigorifero e un’aspirapolvere. Tre elettrodomestici sulla copertina del primo disco dei Cure per dire cosa? Niente, forse lo scopo del produttore Chris Parry era solo quello di attirare l’attenzione. Operazione riuscita perché i giornalisti – era il lontano 1979 – cominciarono a domandarsi a chi si riferissero i tre dispositivi. Se Robert Smith (il cantante e chitarrista) fosse l’aspirapolvere, Lol Tolhurst (il batterista) il frigorifero e Michael Dempsey (il bassista) la lampada, per esempio. Ognuno poteva decidere a chi attribuire l’apparecchiatura, tanto una soluzione non c’era e i componenti della band – che ha suonato giusto settimana scorsa al Mediolanum Forum di Milano – si divertivano a scambiarsi di ruolo tanto loro con quella copertina c’entravano poco o nulla. Nemmeno l’avevano vista prima che il disco fosse mandato alle stampe. Lo ha ammesso lo stesso leader del gruppo anni fa in un’intervista a Rolling Stones. Essendo il primo album né lui, né gli altri componenti dei Cure avevano potuto interferire sulle scelte del produttore. Non sarà così per gli Lp successivi.
Già da questo esordio – di straordinario impatto creativo e musicale – si capisce però la filosofia dei Three Imaginary Boys (così si chiama il loro primo disco). La spiegazione delle loro canzoni – in una carriera che è durata e dura da più di quarant’anni – si trova tutta in quella copertina ed è l’impossibilità di “trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha”, ha cantato qualche anno dopo Vasco Rossi. Dunque, ritornano i tre elettrodomestici su sfondo rosa per porci delle domande e per cercare di andare oltre quello che gli stessi Cure affermano in uno dei loro successi più acclamati ma anche meno suonati dal vivo forse per quelle accuse di razzismo che, in verità, non stanno né in cielo né in terra: Killing an Arab (uccidendo un arabo). Dicono: “Whichever I chose it amounts to the same, absolutely nothing”. Ovvero: qualsiasi cosa io scelga è sempre lo stesso, assolutamente niente.
Non ci vuole molto a capire il perché del successo di questa band che un tempo veniva definita di quel filone dark wave che tanto piaceva ai giovani degli anni Ottanta, a quelli che si contrapponevano ai paninari ma non avevano la stessa rudezza dei metallari. I Cure hanno rappresentato per intere generazioni la non risposta verso le domande importanti della vita. Tre elettrodomestici erano lì a dire che nulla si spiega se non può essere spiegato. A meno che – e l’abbiamo scoperto solo dopo – ci viene in soccorso la tecnologia. Con l’uso degli strumenti scientifici pensiamo di avere capito tutto della vita e del mondo. Ma forse non è proprio così. Ce ne stiamo accorgendo in quest’epoca che ci permette di rispondere a tutte le domande chiedendo a Siri o a Google. Ma qualcosa ancora – e per fortuna – ci sfugge.

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#Oltre n°38/2022 | «L’uomo è ciò che mangia». Riflettiamo

Un bel piatto d’insetti per cena. Ci sembra fantascienza ma presto potrebbe essere realtà. Chi mai avrebbe detto, trent’anni fa, che saremmo diventati dipendenti da un cosino simile a una ricetrasmittente che ci permette di avere il mondo in una mano? Chi avrebbe immaginato che il telefonino – meglio lo smartphone – sarebbe assurto a padrone assoluto della nostra vita e della nostra società? Così pure come cambierà la nostra esistenza, come saranno modificate le nostre abitudini, cosa mangeremo in quel domani che appare adesso come un grosso punto di domanda, quasi fossimo proiettati dentro un romanzo di fantascienza di Philip Dick?
Ma noi non abbiamo Ubik, quel fantastico spray che ci garantisce l’eternità, quindi dobbiamo gestire l’esistente e farci domande sul futuro. Mangiare insetti – ci assicurano gli esperti – è valido dal punto di vista energetico perché ci garantisce l’apporto adeguato di proteine ed è pure eco-sostenibile perché snellisce quella catena alimentare che ora pesa come un macigno sul pianeta. Dunque, meglio mettere da parte le esitazioni. A Copenaghen c’è già un ristorante che la guida Michelin ha promosso al 33esimo al mondo dove si cucinano prelibatezze come scarafaggi, cavallette e altri insetti. Prepararsi all’innovazione è il migliore esercizio in cui si è cimentato l’uomo dall’alba dei secoli ad oggi. Dunque, anche stavolta riuscirà ad adeguarsi a quanto non si aspetta. Passi per la mentalità, normale che ci sia un progressivo mutamento negli anni, passi per le abitudini, però il cibo è il cibo, è una cosa molto seria. Non è solo il mettersi davanti a un piatto e mangiare. Ciò che alimenta una persona è pure la radice di ciò che essa è. È il nostro stesso vivere.
Sull’argomento è inevitabile citare il filosofo Ludwig Feuerbach che disse: «L’uomo è ciò che mangia». Ecco il punto. Il padre del materialismo tedesco viene ricordato per questo aforisma anche se lo spessore del suo pensiero è ben più ampio. Ma ai posteri è arrivata questa frase ed è giusto rifletterci, visto che dobbiamo parlare di insetti. Per Feuerbach il pensiero comincia proprio dalla pancia, solo successivamente arriva alla testa. Nel suo trattato lo dimostra con ricchezza di particolari e si rende autore di un altro passaggio memorabile: «Perché tu introduca qualcosa nella tua testa e nel tuo cuore è necessario che tu abbia messo qualcosa nello stomaco». Non è che Carlo Marx la pensasse in maniera molto diversa. E questo ci richiama a meditare sul tema del cibo, diventato per noi più un’amenità di una necessità. Ma soprattutto ci spiega perché, volenti o nolenti, ci sapremo adeguare anche agli insetti. Una bella locusta a colazione, un grillo per pranzo, una cimice a merenda e una cena speciale a base di tarme, ragni e pidocchi: ecco quello che ci attende. Non è che il futuro – a queste condizioni – ci piaccia però più di tanto.

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#Oltre n°37/2022 | Dracula? Una guida buona per la nostra consapevolezza

Il vampiro simboleggia il concetto di non morto, un essere in sospeso tra la vita e il nulla che si alimenta del sangue umano per continuare la sua esistenza. Detto così fa un po’ impressione ma questa figura non è una semplice invenzione letteraria, messa nero su bianco dallo scrittore Bram Stoker nel 1827. Si parla di divinità simili ai vampiri già nel periodo mesopotamico, ciò a dimostrazione del fatto che Dracula incarna la paura che alberga in noi dalla notte dei tempi. Riesce a impersonare colui che ci intimorisce ma, nello stesso tempo, ci attrae, ci incuriosisce, ci pone domande. Tutti questi ingredienti finiscono dentro un personaggio che conosciamo da quando siamo piccoli. Chi non ha mai visto qualche film di Dracula? Forse nessuno. Da adolescenti guardare una pellicola con il personaggio dai canini acuminati poteva diventare un’occasione di trasgressione. Con l’età matura è diventato tutto più normale e il vampiro si è trasformato in un momento filosofico di conoscenza. Proprio così.
Ne dava terrificante esemplificazione il Peter Murphy dei Bauhaus di prima maniera quando cantava di Bela Lugosi’s dead. Forse non tutti conoscono questo gruppo gothic che riprendeva in una nota canzone le gesta dell’attore ungherese (naturalizzato americano), tra i principali interpreti del Conte Dracula nella filmografia internazionale. Ne veniva restituito un quadro asfissiante in cui il cantante dei Bauhaus come uno sciamano ripeteva in maniera ossessiva il termine: “Undead” che significa non morto. Appunto, cosa significa? E qui sta il segreto dei vampiri che ci riportano alla possibilità di rimanere o di ritornare in vita anche dopo che il nostro cuore si è fermato. Inevitabile, allora, citare un mostro sacro della letteratura come Edgar Allan Poe quando instillava nella mente dei suoi lettori tutti i dubbi legati ai casi di seppellimenti prematuri. Come nel caso simile dei vampiri, uomini o donne normalissimi tornavo improvvisamente in vita ma si trovavano già nella tomba. Il resto è facile da immaginare.
Questa immagine fa venire i brividi ma non è una semplice divagazione letteraria. Spesso le storie raccontate dagli autori più o meno famosi ci fanno toccare con mano le nostre paure, le vanno a pescare non per terrorizzarci di più (anche se a volte ci riescono) ma per riuscire a trovare una chiave di interpretazione che ci liberi da ogni laccio che può imprigionare la nostra mente. Dunque Dracula come una guida buona (eh sì) che con il sangue che gli cola da un angolo della bocca riesce ad aprirci la strada della consapevolezza della nostra condizione umana. Ve lo sareste mai aspettato? Eppure è così. D’ora in poi possiamo guardare in faccia i vampiri con un po’ di coraggio in più (forse).

#Oltre n°41/2022 | Se ci si sente bene dentro si dorme anche meglio

#Oltre n°36/2022 | Non c’è più la natura matrigna di Leopardi

Uno dei temi principali che animeranno il dibattito dei prossimi anni è quello della riappropriazione del proprio tempo. La pandemia ci ha costretto a lavorare in smart working e ad avere rapporti on line piuttosto che diretti. L’isolamento per il Covid ha messo in discussione le nostre certezze sul mondo globalizzato e ci ha insegnato a guardare sempre più all’interno di un io che, fino a quel momento, avevamo perduto, travolti da una miriade di impegni seri o banali. Ora è difficile tornare all’ante-covid. È cambiato il mondo. Ed è mutato soprattutto il rapporto con noi stessi e con gli altri, anche se ci illudiamo che noi siamo sempre noi e che l’universo circostante sia esattamente quello che avevamo lasciato nel 2019.
Non è così ed è per questo che capita a sempre più persone di percepire un senso di profondo di soffocamento rispetto alla vita quotidiana. Infatti le consulenze psicologiche sono aumentate, così come l’utilizzo di farmaci che servono per rimettere in quiete una psiche che tende a impaurirsi, avendo perso tutte le certezze. C’è poi chi decide di cambiare vita, di lasciare lavori importanti per dedicarsi ai propri affetti o semplicemente per recuperare i propri spazi e il proprio tempo mettendo a frutto ogni singolo momento della propria vita.
In questo scenario si inseriscono tutte quelle iniziative e quelle attività che mirano a rimettere un po’ d’ordine a una condizione – quella degli uomini e delle donne di questi tempi – sempre più fragile e precaria. Una passeggiata nella natura, immersi in ambienti di totale rilassamento, praticando discipline di meditazione, serve a guardarsi dentro e, contemporaneamente, a ristabilire il giusto rapporto con il mondo che ci circonda, sia esso costituito dalla natura come dalle persone. È un modo semplice per ripartire dalle piccole cose, un sistema che permette di ricostruire quel sé andato distrutto dalle minacce della pandemia. Non è semplice, sia chiaro. Parlarne o scriverne non è la stessa cosa che immergersi in queste atmosfere, perché bisogna avere le forza e il coraggio di mettersi in discussione. Vale la pena, però, concedersi a questa esperienza. E, per chi non vuole andare in Svizzera come suggerito dai percorsi dell’Innerwalk Project, basta percorrere i nostri sentieri (ce ne sono tantissimi, soprattutto al Nord della provincia) con la mente sgombra dai pensieri ma colma di energie positive. Sono quelle sprigionate dalla natura che torna ad essere nostra amica e non più matrigna, come diceva Giacomo Leopardi. Una volta avviato il percorso, i benefici sono quasi immediati. Provare per credere.