#Oltre n°02/2023 | Un’opportunità per interrogarsi su cosa sia l’arte oggi

#Oltre n°02/2023 | Un’opportunità per interrogarsi su cosa sia l’arte oggi

Un ragionamento sull’arte contemporanea è indispensabile nel momento in cui arriva in provincia di Varese una mostra su Andy Warhol, genio o impostore del Novecento, icona della pop art, simbolico riferimento di un mondo che è anche il nostro o forse non lo è già più. Dell’artista americano viene proposta un’ampia rilettura al Maga di Gallarate e già questo è un successo. Portare cultura qui da noi non è facile. Uscire dagli stretti confini del provincialismo, nel senso deleterio del termine, è spesso impresa ardua. Il museo di viale Milano ci sta provando da anni e ora ne dà nuova dimostrazione. Per questo merita un applauso.

Ma è del senso dell’iniziativa che vogliamo parlare, per capire cosa significhi una mostra di Warhol oggi. E soprattutto se esista ancora una ragione per affrontare il delicato tema dell’importanza o meno dell’arte contemporanea. Da assoluti non conoscitori del settore possiamo permetterci di dire alcune cose. La prima è che la pop art non è arte popolare. Nel senso che l’uomo della strada fatica a comprenderne il senso. Ha bisogno di essere guidato per entrare dentro il meccanismo dell’opera, per non rimanere deluso di fronte a qualcosa che gli sembra tutto fuorché un capolavoro. Ciò non significa che Warhol non abbia creato oggetti di valore (chiedetelo a chi ha sborsato milioni per accaparrarsi le sue opere) ma che devono essere compresi prima di essere amati.

L’emozione necessita di un’interpretazione, ma non per questo può risultare meno intensa. Il secondo spunto di riflessione riguarda il mondo in cui si inserisce il lavoro di Warhol, dentro un’epoca che prova a stabilizzarsi dopo profondissimi cambiamenti. Dunque l’artista produce un meccanismo di rottura nei confronti di quella borghesia (termine che non va più di moda) che sarà la principale acquirente della sua produzione. Qui sta il paradosso o forse proprio in questo si trova la sua forza principale, nello smascherare – cioè – l’ipocrisia di una realtà che è quella creata dal predominio del capitale (direbbe Carlo Marx) sull’uomo.

L’arte come funzione sociale o solo come fruizione estetica? In questa domanda sta la curiosità verso una mostra che ha il merito – grazie a Warhol – di riportare la mente ai suoi quesiti più importanti, che richiama l’essenza stessa dell’essere uomini e donne. Per una volta ci si può staccare dal quotidiano per provare a capire cosa sia l’arte: straordinario passepartout per il paradiso o incredibile inganno. A voi la risposta.

#Oltre n°02/2023 | Un’opportunità per interrogarsi su cosa sia l’arte oggi

#Oltre n°01/2023 | La primogenitura dell’Occidente finisce in una zuppa

Una zuppa cambiò le sorti del popolo ebraico. Chi non ricorda la vicenda narrata dall’Antico Testamento in cui l’affamato Esaù perse la primogenitura a vantaggio di Giacobbe? Bastò offrirgli un bel piatto di legumi in brodo e capostipite divenne il fratello. Storie di popoli, storie di cibi. Come quelle che riguardano le odierne evoluzioni dei gusti gastronomici. L’Oriente spopola dalle nostre parti e potrebbe essere l’anticipo di una dominazione politica e culturale. Tutti noi speriamo di no, ma provate a chiedere ai giovani cosa mangiano quando escono con gli amici. La maggioranza vi risponderà: sushi. Non c’è poi solo il pesce crudo a solleticare le papille dei ragazzi. Di questi tempi va di moda il ramen, uno zuppone in cui si può trovare dentro di tutto (non scandalizzatevi) ma che fa perno su brodo, carne, uova e pasta. Dicono che sia molto valido dal punto di vista alimentare e che fornisca un apporto adeguato in termini di dieta ricca ed equilibrata. Sul gusto si può soprassedere, perché gli appassionati delle minestre contadine lombarde o degli zupponi di legumi che mangiavano i nostri nonni rimarranno delusi. Il sapore è diverso. Ma, a quanto pare, piace molto.

Il ramen diventa così un mezzo per esplorare un mondo che ci appare lontano ma si avvicina sempre più. Mentre assaporiamo (?) il gusto di alga o di cipollotto ci viene, allora, da pensare ai due fratelli di cui sopra e si fa strada il dubbio che anche noi occidentali stiamo perdendo la primogenitura a vantaggio degli orientali perché presi per la gola. Sarà solo una suggestione, i più si sentiranno al sicuro perché di ramen e di sushi non ne vogliono sentire parlare (figurarsi mangiare) ma se cominciano a fare qualche ricerca sulle abitudini che fanno più tendenza allora scopriranno che certi alimenti sono in forte ascesa e denotano un cambio di gusti che fa il paio, probabilmente, con un’evoluzione della mentalità. I processi del mondo, però, hanno bisogno di tempo per affermarsi.

Quindi chi ha già superato da un po’ la giovinezza può stare tranquillo: non ci saranno sconvolgimenti nel breve periodo. Ma qualcosa di inaspettato succederà in un lasso di tempo dilatato. Quando il ramen supererà gli spaghetti l’Occidente sarà pronto a una nuova evoluzione. A meno che non sia un bel piatto di pasta con la pummarola in coppa ad avere la meglio nella sfida. Un po’ ci speriamo. Ma potremmo rimanere delusi.

#Oltre n°02/2023 | Un’opportunità per interrogarsi su cosa sia l’arte oggi

#Oltre n°45/2022 | Non facciamoci schiacciare dal fascino proibito di Dioniso

La neve che cade, fuori. Un calice di buon vino e una bella donna. Non esiste mix migliore per assaporare il gusto vero della festa. Di singole persone che rappresentano l’universo. Fuori dagli schemi sociali, fuori dalle catalogazioni, alla larga da convenzioni e da abitudini. Liberi. Pensando a questi concetti viene in mente Friedrich Nietzsche quando contrapponeva apollineo e dionisiaco, individuando in quest’ultima inclinazione il principio di forza istintiva, l’espressione massima del corpo, il vigore prorompente della passione sensuale, l’ebbrezza, l’emozione.

Ogni tanto ci siamo fatti rapire dal dionisiaco ma più spesso siamo rimasti vittime delle nostre paure, delle nostre preoccupazioni, della nostra serietà, del nostro freno a meno tirato che ci impedisce di esprimere le enormi potenzialità che ci caratterizzano. Il tutto per evitare qualsiasi rischio di imprevedibilità. Abbiamo voluto pensare e programmare. E ci siamo persi il meglio perché non abbiamo potuto esprimere ciò che siamo davvero. Ma c’è sempre tempo per ravvedersi.

Si dice che l’anno vecchio resti alle spalle e in quello nuovo possiamo sperare, immaginare e sognare di tutto, come faceva il venditore di almanacchi nella famosa poesia di Giacomo Leopardi. Ci illudiamo che qualcosa possa cambiare. Poi ci lamentiamo che non sia successo nulla, ma non ci chiediamo come mai. Stringi stringi, tolta la tara delle scuse, troviamo un unico responsabile che sta dentro il nostro cuore e il nostro cervello. Dunque ci avviciniamo al tempo delle feste e il consiglio è di lasciarsi andare al dionisiaco. Lo facevano anche gli antichi greci con le famose feste in onore della divinità dell’ebbrezza in un periodo ben preciso dell’anno, a distanza di quasi 2.500 anni da noi.

Dunque esiste nella natura stessa dell’uomo e della donna la necessità di abbandonarsi alla passione. Ed è una forza dirompente, primitiva. Esiste un unico accorgimento, però, per non restare schiacciati dal fascino proibito di Dioniso ed è quello di fermarsi in tempo, affinché lo spirito della trasgressione non diventi distruttivo. Ma allora dobbiamo di nuovo affidarci all’apollineo, cioè all’equilibrio piuttosto che al trionfo dei sensi? Qui sta il bello (e il brutto) della nostra condizione. Spinti a camminare sul margine del burrone, facendo attenzione a non cadere.

#Oltre n°02/2023 | Un’opportunità per interrogarsi su cosa sia l’arte oggi

#Oltre n°44/2022 | Oggi ci guida la tecnologia, ma ridateci la stella cometa

Narra il Vangelo di Matteo che i Re Magi seguirono la stella d’Oriente per raggiungere Gesù Bambino e portargli i loro doni: oro, incenso e mirra. Noi a chi ci possiamo affidare per arrivare a destinazione, dove la destinazione è intesa come il luogo d’incontro con la persona che desideriamo vedere a Natale, attrezzati con i regali che merita?
A voler rispondere in maniera scontata, ci esce la vena romantica e allora diciamo che a condurci sarà l’amore. Ma questo tipo di approccio non va più di moda. Passi, facilmente, per il fesso di turno. Quindi dobbiamo affidarci alla tecnologia e farci guidare dal nostro amato cellulare. Lì dentro ormai c’è tutto. Tra le varie app troveremo anche quella che ci darà una risposta su chi dobbiamo incontrare e dove. Muniti di Google Maps potremo poi raggiungere la meta senza rischio di sbagliare strada. Come è bella la vita moderna: tutto risolto con un semplice colpo di pollice sullo smartphone.

Duemila anni fa, invece, i poveri Magi si sobbarcarono un lungo viaggio per arrivare fino a Betlemme. La soddisfazione di giungere alla meta compensò la fatica facendoli rallegrare – dice l’evangelista – “di grandissima gioia”. Ora è cambiato tutto. Ma resta un quesito irrisolto. Va bene la tecnologia, ma chi la comanda? Chi decide, insomma, la direzione? Verrebbe da rispondere che l’uomo o la donna sono arbitri del loro destino e delle loro scelte. Può darsi, ma quanto è forte il potere d’influenza degli strumenti tecnologici che abbiamo attorno? Alzi la mano chi, almeno una volta, non si sia fatto condizionare nella scelta del panino piuttosto che del ristorante dove entrare o della vacanza o dell’auto da comprare, per non parlare della fidanzata. E si potrebbe proseguire all’infinito.

Dunque, non abbiamo ancora risolto l’interrogativo che ha iniziato questa nostra riflessione. Chi detta la nostra direzione avendo ormai perso contatto con la stella cometa che guidò i Magi? Si potrebbe intendere quell’astro con la coda come qualcosa che ci guidi dall’alto. E allora viene facile il paragone con Dio e con la religione che è servito da panacea di (quasi) tutti i mali per oltre duemila anni. Ma ormai siamo usciti da quest’ottica e non vogliamo che nessuno comprometta la nostra libertà di scelta, nemmeno se sta in cielo. Per questo ci affidiamo alla tecnologia che tutto può e tutto risolve. Ci illudiamo che sia così. E lo sappiamo. Perciò ridateci la stella cometa.

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#Oltre n°43/2022 | Lo sci alpinismo contro le calorie di troppo

Sciare tra le montagne a forma di panettone è uno dei sogni segreti (e ricorrenti) dei golosi. Mentre scendono tra le cime innevate possono sbocconcellare senza rimorsi di coscienza il dolce preferito perché così addolciscono il palato e nel contempo smaltiscono le calorie in eccesso, praticando uno sport divertente come lo sci. Chi vuole essere esagerato, però, e vuole scofanarsi, oltre al panettone, anche il cioccolato e ogni altro ben di Dio che le tavole natalizie o i pranzi di vigilia ci regalano, può prepararsi in anticipo sulle piste che quest’anno ci dicono già operative per le nevicate dei giorni scorsi. Ma non è abbastanza comprare il giornaliero, salire sulla seggiovia e scendere disegnando curve perfette. Per conciliare piaceri della tavola con forma fisica sta diventando sempre più di moda lo sci alpinismo che significa sudare e faticare come uno sherpa in salita mettendosi gli sci in spalla o usando le pelli. Poi, quando si è in cima, è ancora più bella la discesa perché profuma di conquista e perché garantisce degli spettacolari fuori pista, sempre nel rispetto delle regole della montagna.

Per chi non lo sapesse, poi, saranno proprio le Olimpiadi di Milano-Cortina – che con così tanta trepidazione stiamo attendendo – che ospiteranno per la prima volta lo sci alpinismo come disciplina a cinque cerchi. E, in attesa del 2026, ci si può allenare e cimentarsi in questa fantastica specialità oppure vedere in azione i campioni nelle prove di Coppa del Mondo. Dal 16 al 18 dicembre, per esempio, la World Cup di sci alpinismo farà tappa sulle nevi di Pontedilegno-Tonaale con una prova sprint che sarà in tutto simile a quella delle Olimpiadi, nello stadio innevato allestito per l’occasione nel centro della località tanto amata dai turisti lombardi (e non solo da loro) in orario serale. Ciò aggiungerà fascino al già particolare spettacolo degli atleti che salgono sbuffando sulle salite.

Insomma, il segreto nella vita sta nel mettere d’accordo le proprie passioni con il sacrificio. Per farlo serve l’allenamento del fisico e della mente. Sembra impossibile all’inizio ma qualsiasi pendio, anche il più ripido, diventerà dolce se alla fine ci regalerà una piccola o grande soddisfazione. Quindi, sci ai piedi e panettone in tavola. Il training può cominciare.

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#Oltre n°42/2022 | Per Natale regaliamoci il tempo di volerci bene

Tenetevi forte perché inizia la grande corsa verso Natale. Per non farsi prendere dallo stress e arrivare tranquilli e rilassati al giorno più bello dell’anno (così lo chiamano) esiste un’unica strategia: bisogna prendere un libro e mettersi a leggere. Una fuga dalle proprie responsabilità? Può darsi. Ma intanto – a titolo propedeutico – concedetevi giusto cinque minuti per un breve racconto.

L’ho trovato tempo fa e me lo ricordo ancora con piacere. S’intitola La festa di Natale di Carlo Collodi. È una storia che permette di evadere dall’asfissiante loop del dicembre tutto shopping, falsi sentimenti e “mioddio avrò fatto gli auguri a tutti?”. Lo scrittore di Pinocchio ci regala una perla di garbo e di saggezza. Narra dei tre figli della contessa che aspettano con ansia l’arrivo delle strenne dopo che la mamma ha messo i soldini di mancia nel loro salvadanaio. Due di loro scelgono cose normali per dei bambini, il terzo, invece, ha un’intuizione che gli permette di godersi il dono più bello e più sospirato di tutti: l’abbraccio caldo e amorevole della mamma e un sacco di suoi baci.

Non vi tolgo la sorpresa nel dirvi cosa scelse il bimbo per commuovere così tanto la contessa Maria. Ma in quel gesto così semplice e così genuino sta l’essenza del Natale. È bello arrivarci attraverso la lettura perché prendere in mano un libro e immergersi nelle sue atmosfere è diventato fuori moda, un rituale antico, per qualcuno sorpassato, una perdita di tempo. Ma non è così. Prendersi il proprio tempo è un’altra delle lezioni che arrivano dalla storiella di Collodi. Se non si ha la pazienza di aprire una parentesi e di chiuderla, senza la fretta di arrivare subito al nocciolo, non si gustano le cose più belle della vita. Dunque l’antidoto ai rutilanti giorni che avvicinano al Natale c’è. “Invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno più di cento”. Così si conclude la novella dello scrittore toscano. A chi non piacciono i baci? A nessuno. E gli abbracci? Idem. E un bel libro (o un bel giornale)? Dai, facciamo lo sforzo di leggere almeno per Natale e non ci pentiremo. Ecco la formula per passare al meglio la festa. (E si risparmia pure).