#Oltre n°27/2023 | Con un libro difendiamo il tempo e le passioni

#Oltre n°27/2023 | Con un libro difendiamo il tempo e le passioni

Un libro permette di riconnettersi con due elementi distrutti da questa società: il tempo e la passione. Lo scopo dei telefoni cellulari è, in tanti casi, quello di ammazzare il tempo. Non c’è espressione più felice per descrivere ciò che disperdiamo quando ci lasciamo prendere dalla mania dei post. Un po’ come fumare una sigaretta: mandiamo in cenere parte di un nostro bene prezioso che è la nostra salute (fisica o mentale).

Come esordio mi rendo conto che è un po’ bacchettone ma farò in modo di ammorbidirmi per spiegare la bellezza di leggere un libro, tanto più se in montagna, riacquistando quella sintonia di persona e natura che fa parte della nostra essenza, così come l’esperienza di Marco Tosi (pagine 10 e 11) ci può regalare.
La filosofa Sofia Vanni Rovighi (che pochi conosceranno ma che ha dato un’impronta fondamentale a questo studio in Cattolica a Milano) diceva che spesso la vita di una persona è una fuga dai quesiti veri sul senso della nostra esistenza, un tentativo per distrarsi, per allontanare da noi il pensiero della finitudine e del limite.

Escogitiamo mille modi per non essere catapultati in questo vuoto che ci spaventa. Invece è affrontandolo che ci rendiamo conto di chi siamo per davvero. E un libro ci può insegnare molto perché ci aiuta a riflettere, fosse anche un giallo e non per forza un trattato sulla ragion pura o sulla ragion pratica. La lettura rinforza i nostri meccanismi logici, li esalta, ci guida dentro la nostra mente senza rimbalzare da un contenuto all’altro come la logica social vorrebbe. Ci impedisce di diventare schiavi di quella destrutturazione del pensiero che va così tanto di moda. È l’estremo tentativo di salvarci, insomma. Sono ancora troppo bacchettone? Può darsi.

Ma se ci fate caso questo tipo di impostazione non si mangia solo il nostro tempo ma fa a pezzi anche la ragione stessa del nostro vivere, cioè la passione. Quando siamo felici, quando sentiamo che la pienezza del nostro essere riesce ad esprimersi in modo completo? Quando riusciamo a coltivare una passione. Rendendo il mondo piatto e sempre uguale, dentro schemi fissi e sempre uguali come quelli che ci vengono propinati dalla finta libertà dei social, perdiamo amore per ciò che facciamo e per ciò che vediamo. Tutto diventa solo materiale di consumo. Utile a far passare il tempo ma non a soddisfarci. Anche in questo caso ci viene in soccorso un libro: avete mai provato a lasciarvi prendere da una storia che vi appassiona? È cibo per la nostra anima, carburante per corpo e mente. Dunque, riappropriamoci di tempo e passioni. La nostra vita sarà più felice. A volte basta poco: un semplice libro e una baita in montagna.

#Oltre n°27/2023 | Con un libro difendiamo il tempo e le passioni

#Oltre n°26/2023 | Il teschio, le corna e il senso della vita

Il mistero affascina, il mistero attrae, il mistero attira a sé per capire. Un certo autore di Firenze ci ha fatto una fortuna descrivendo cosa esiste dopo la morte. E chi non è curioso di saperlo? Peccato che nessuno possa descriverlo con certezza, essendo la strada senza ritorno. Si può, allora, provare con lo spiritismo. Ma bisogna crederci. Nulla contro chi lo fa con convinzione ma l’unica seduta che ricordi è quella che viene raccontata nel film “Totò, Peppino e la dolce vita”, descrizione divertente e un po’ grottesca di un riunione per richiamare gli spiriti con tanto di teschio, corna e un fantasma che si materializza, salvo poi scoprire che è tutto uno scherzo. Peppino, intanto, si sente male ma il cognac per rianimarlo se lo beve Totò. Insomma, c’è molto da ridere e poco da capire in questa storia che, però, regala anche qualche pillola di saggezza. La celebrante, interrogando l’aldilà, scopre che «la verità non fa male» mentre «il dubbio tormenta l’anima». Meglio non stuzzicare troppo gli spiriti, allora, per superare il piano della realtà concreta. Ci possono essere altri metodi per scandagliare quella che i filosofi chiamano la metafisica. Un sistema può essere quello dell’interpretazione dei segni (non dei sogni). Ci sono persone che leggono il proprio destino in base alle indicazioni che arrivano dagli eventi della vita. È un approccio solo apparentemente irrazionale, in verità mira a spiegare ciò che accade seguendo un filo logico che solo il diretto interessato può vedere. Un altro modo per scoprire la parte nascosta della nostra vita consiste nell’affidarsi alla psicologia, meglio alla psicanalisi, che passa al setaccio l’inconscio per trarne conclusioni. Non sempre vere, però.

Poi ci sono i due approcci solo in apparenza antitetici, quello di testa e quello di cuore. Nel primo caso cerchiamo di dare una ragione anche a ciò che non capiamo. E, di solito, rimaniamo delusi. Con il cuore, invece, non sbagliamo in quanto a soddisfazione immediata ma rischiamo di finire dentro casini che nemmeno ci immaginiamo ma che scopriremo in seguito.

Siamo partiti dalle sedute spiritiche per arrivare a una chiave di lettura della vita che sia in grado di interpretarla nella sua completezza. Come hic et nunc (qui ed ora) ma anche come futuro, come prospettiva, come tendenza all’eterno e all’infinito. Totò e Peppino ci hanno scherzato sopra ma chi più di loro – da scaramantici napoletani – può essere esperto nella materia “aldilà”? Peccato però che non basta un tavolino, una tazzina e le mani dei convitati unite a catena per venire a capo di questo mistero. Ma a volte ci piace credere che possa essere così.

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#Oltre n°25/2023 | L’arte di spingersi sulla soglia del burrone

Confesso che non mi fa molto piacere vedere il mio interlocutore che scarabocchia strani disegni su un foglio mentre mi sta ascoltando. Penso che senta me e, intanto, divaghi su altro. Mi spazientisco. Eppure se mi fermo e lo interrogo su ciò che sto dicendo, lui è sul pezzo. Non si è distratto un attimo. Stessa scena al telefono. Sempre quel tale riceve una chiamata e, mentre parla, si diverte a comporre opere di arte astratta su un foglio. Ognuno ha il suo stile. C’è chi disegna i cuori, chi i circoletti, chi le righe, chi strane greche di impossibile decifrazione. Dicono che questo metodo di libera creazione degli scarabocchi serva a concentrarsi, non a distrarsi, sia utile per focalizzare le idee invece che per disperderle.

Può darsi, anche se la prima impressione è di fastidio verso chi ti deve ascoltare e si dedica a comporre astrusi disegnini.
Dicono, ancora, che questi geroglifici abbiano l’effetto taumaturgico di liberare l’inconscio dalle paranoie e dagli ostacoli che la mente umana incontra ogni giorno sul suo cammino. Può essere, ma risulta difficile interpretare quei segni come se fossero una mappa del tesoro per comprendere cosa ci sia nel nostro cuore e nel nostro cervello. Passato il nervoso, però, iniziano le domande.

La prima, fondante, va all’origine di quegli scarabocchi. Grafologi e psicologi hanno le loro spiegazioni tecniche. Banalizzando, interpretano il cuore come la ricerca d’amore, i tratti discontinui come voglia di conflitto e altro ancora. Ma non ci bastano questi rilievi, vogliamo andare più nel profondo e ci rendiamo conto, perciò, che quei segni sono la manifestazione di qualcos’altro che è in noi ma non viene espresso in senso compiuto. Un po’ quel che accade nei sogni dove il nostro inconscio libera dei segnali che rimandano a contenuti diversi. E qui si apre un mondo. Inesplorato. È il nostro destino quello di arrivare fino a un certo punto, di sporgerci sulla soglia del burrone senza riuscire a interpretare ciò che ci sta sotto. Ci troviamo di fronte a quel senso di vuoto e di incompiutezza che è tipico della condizione umana.

Ci viene in soccorso, allora, la filosofia greca (e chi sennò?). Platone diceva che l’uomo è privo di virtù naturali, sarebbe cioè dotato in maniera inadeguata rispetto agli animali, e non potrebbe vivere in un ambiente non artificiale, perché non lo capirebbe. Nel XV secolo il tema è stato ripreso da Pico della Mirandola che ha definito l’uomo come animale indeterminato, incompleto, e per questo libero di compiere le sue scelte. Essendo biologicamente manchevole, sopperisce alle carenze con l’ingegno. Ma, ogni tanto, la realtà gli sfugge di mano e torna, con gli strani disegni, a quell’accozzaglia che ha in testa. Spiegazione troppo complessa? Forse. Ci vorrebbe uno scarabocchio per spiegarla meglio.

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#Oltre n°24/2023 | Il respiro manifesta la forza di Dio

Non si può parlare di respiro senza accennare al concetto orientale di ki. Con questo termine viene espressa l’idea che incarna le energie fondamentali dell’universo, di cui fanno parte la natura e le funzioni primarie dell’uomo, in cui il respiro ha un ruolo essenziale, senza il quale non esiste la vita. Nell’antica Cina il ki era visto come la forza che originava tutto il resto, utilizzato nelle arti marziali e per dare motivazioni agli eserciti. Nella cultura tradizionale induista il termine con significato corrispondente è il vocabolo sanscrito Prana. Che ha a che fare con il respiro e ci rimanda a quello che di solito noi indichiamo come lo spirito. Il tutto, anche dal punto di vista linguistico, ci richiama il soffio. Ovvero quella componente vivificatrice che interpreta la capacità creativa di Dio. Nel respiro dunque sta la vita e la potenza del realizzare dal nulla così come viene spiegata nell’Antico Testamento, libro della Genesi: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente».

Esaurite queste premesse storiche e filosofiche ci troviamo proiettati nel giorno d’oggi e ci confrontiamo con tecniche sempre più raffinate che mental coach, psicologi e santoni insegnano ai loro allievi per farli stare bene. Spiegano che la serenità mentale parte dal respiro. Un approccio affannoso e nervoso non fa altro che peggiorare il nostro stile di vita. Occorre respirare con calma e lavorare sul diaframma in modo che a gonfiarsi sia più la pancia della cassa toracica. L’obiettivo non sempre è naturale ma si raggiunge con l’allenamento. Cadenzare il proprio respiro è il primo passo per stare meglio. Per vivere in pace con se stessi.

Purtroppo però noi siamo gli abitanti di quello che il semiologo Marshall McLuhan chiamava il villaggio globale, quindi siamo sottoposti a una miriade di input. Se ci facciamo prendere dall’ansia siamo fritti. Solo se abbiamo la pazienza di ascoltare il nostro corpo, capiremo che il ritmo del respiro può guidare anche le nostre azioni con successo. Il famoso detto «la calma è la virtù dei forti» non è una frase buttata lì a caso, è la sintesi di quanto la filosofia e le tradizioni millenarie ci consegnano. Capiamo, perciò, come la corsa spasmodica alimentata dalla società occidentale abbia poco senso. Produce competizione ma non risultati migliori. Per riuscire a emergere nella vita non serve correre forte ma avere la forza di trasmettere il proprio soffio creativo dentro le cose che si fanno. E per arrivare a questo obiettivo esiste una strada molto semplice: prendi fiato, respira forte e buttati dentro la vita. Le forze che governano il mondo ti sorreggeranno. Perché tu sarai uguale a loro. Sarai lo spirito, il ki, l’eterna manifestazione della potenza di Dio (che sta in te).

#Oltre n°27/2023 | Con un libro difendiamo il tempo e le passioni

#Oltre n°23/2023 | Nella terra dei laghi è proibito arrendersi

La terra dei laghi è la terra del canottaggio e la dimostrazione (l’ennesima) arriva dalla Coppa del Mondo che si disputa alla Schiranna. Quale migliore occasione per conoscere, appassionarsi e amare questo sport? Una disciplina di grande impegno e di fatica. Chi non è mai salito su un’imbarcazione non si rende conto di quando l’acido lattico si impadronisce dei muscoli ma tu devi continuare a remare. È l’eterna sfida dell’uomo che, con le sue forze, prova ad abbattere i suoi limiti. Il tentativo di andare oltre che premia comunque. Sia che si vinca sia che si perda. Non è retorica è la ricetta dello sport vero, quello che i greci hanno tramandato fino a noi. Non a caso inventarono le Olimpiadi, massimo cimento degli atleti, palcoscenico di competizioni e di sfide che sono rimaste nella storia.

Il canottaggio restituisce il senso più puro del dell’agone sportivo e, noi che siamo italiani, abbiamo un’ottima tradizione in questa disciplina. Si potrebbe dire che siamo un popolo di artisti, poeti e navigatori, ma anche di canottieri. E questo ci dà orgoglio, se non altro perché uno dei punti di riferimento nazionali di questa disciplina è proprio la nostra provincia. Qui sono cresciuti campioni e continuano a formarsi atleti che portano in alto l’Italia. Un motivo ci sarà.

Il primo e più evidente sta in quello che si diceva in premessa. A noi – nati in questo territorio schiacciato da Svizzera e Milano – i sacrifici non fanno paura. Anzi, sappiamo che è da quelli che dobbiamo partire per ottenere un buon risultato. Non è un concetto da prendere sotto gamba. Va ripetuto e ribadito adesso, mentre va per la maggiore la corsa al disimpegno e si afferma la cultura del «meno faccio e più avanti arrivo». Provate a chiedere a una barca di muoversi da sola, senza la forza dei muscoli di gambe e braccia che permettono di viaggiare veloci sul pelo dell’acqua. Il canottaggio è sincero perché premia chi si ce la mette tutta, chi non percorre le scorciatoie e trova la sua più bella soddisfazione in una medaglia, nel salire sul gradino più alto del podio.
Non sono dei miliardari quelli che vincono in questo sport. Sono persone come noi che hanno deciso di investire su quanto di più prezioso può esserci al mondo, sulla sfida per superare i propri limiti. Obiettivo ambizioso che nasconde il senso di perfezione tipico degli sport dove è richiesto un forte dispendio fisico.

Mentre si afferma in modo sempre più invadente la cultura della sciatteria, il canottaggio dà una lezione di massima concentrazione per ottenere la vittoria. È bello che ciò avvenga nella terra dei laghi. Che, se non ascolta questo messaggio, finisce per andare a fondo. Riemergere, poi, può diventare impossibile.

#Oltre n°27/2023 | Con un libro difendiamo il tempo e le passioni

#Oltre n°22/2023 | Vorrei trasformarmi in medusa (di Dohrn)

Il mare ci ha sempre dato l’idea della vita. Ci immaginiamo dentro il ventre materno quando ci immergiamo in questo elemento naturale. Forse torniamo inconsciamente alle nostre origini perché ci hanno insegnato che tutto nacque dal mare. E lì tutto tornerà. È curioso allora raccontare la storia della medusa di Dohrn che prende il nome del biologo e grande amico di Charles Darwin con cui studiò l’ecosistema del golfo di Napoli. Ai due personaggi – Charles Darwin e Anton Dohrn – è intitolata la stazione zoologica della città partenopea, alla quale è collegato l’acquario, bello pur se semplice rispetto a quello conosciuto in tutto il mondo che sta a Genova. La medusa di Dorhn viene anche chiamata medusa immortale e questa cosa mi ha subito colpito se non altro perché, con quel nome, risponde a un’ambizione atavica e condivisa da tutto il genere umano. Come si fa a vivere in eterno? Questo speciale tipo di medusa (che in generale noi odiamo per le scottature) si rigenera a ciclo continuo. Quando sta per morire riavvia il ciclo vitale e riparte da zero. È il nostro sogno, la nostra speranza, a cui però né scienza né religione né filosofia hanno mai dato una risposta certa.

La medusa di Dohrn ce la fa e non ci stupiamo più di tanto di questo prodigio proprio perché siamo partiti con l’idea che nel mare si può avere prova sicura del postulato di Lavoisier cioè che in natura nulla si crea e nulla si distrugge. Il suo esempio, inoltre, ci dà conferma di un altro principio che governa l’umanità. Noi ne siamo un po’ all’oscuro perché il tipico approccio occidentale porta l’uomo a intendere la sua vita in senso lineare come nascita, crescita e morte. Alla fine poi ci hanno messo in testa l’idea della ricompensa e quindi l’equilibrio sociale si fonda su un meccanismo costi/benefici che può reggere per il mercato ma non sta in piedi se applicato all’esistenza umana. Ecco allora che la medusa di Dohrn ci insegna a pensare all’orientale cioè in modo circolare ovvero: non esistono premi e castighi, non ha senso reggere la società sul senso di colpa ma bisogna rendersi conto che la nostra vita è parte di un tutto eterno che si ricicla e continua a vivere. È dura lasciare da parte la nostra mentalità basata sul possesso e sull’individualismo ma ce lo insegna il mare. Pure lì esistono le stesse contraddizioni che albergano nel cuore dell’uomo. La sopraffazione è una delle regole fondamentali della natura. Il pesce grosso si sa, mangia il pesce piccolo, ma è bello pensare che da un essere apparentemente insignificante come una medusa ci arrivi un segnale di speranza e di ottimismo ancestrale. Per questo è per tanti altri motivi che ben conosciamo dobbiamo impegnarci sempre di più nel diffondere la cultura del mare. Noi che siamo italiani, che abbiamo la nostra penisola così romanticamente e naturalmente inserita in questo elemento straordinario, non possiamo non lanciare un messaggio forte per difendere l’ecosistema marino messo in difficoltà dai nostri comportamenti e dalla nostra insopportabile maleducazione.

Dalla stazione zoologica di Napoli alla One Ocean Week, dunque, arriva lo stesso segnale: difendere il mare significa tutelare l’umanità e fare del bene a noi stessi. Per vivere in eterno. Come la medusa.