L’idea che siano passati vent’anni dal G8 di Genova è stata cancellata dall’idea che sono passati vent’anni dall’11 settembre e dalle Torri gemelle. Meno di due mesi trascorsero allora tra i due eventi – i fatti di Genova, come spesso sono richiamati, andarono dal 19 al 22 luglio 2001 -, ma il secondo si prese il titolo del ventennio successivo. E non lo molla nemmeno ora, nonostante articoli, come quello di Michela Murgia sull’Espresso del 21 giugno, o podcast, come quello intitolato “Limoni”, creato per Internazionale da Annalisa Camilli, rievochino oggi il summit e la piazza in cui morì Carlo Giuliani. Tutti ricordano dov’erano l’11 settembre, per Genova è tutto più offuscato come dietro una coltre di lacrimogeni, quelli che – mito vuole – irritano di meno se usi il succo di limone, appunto. Per tutti Genova è offuscata? Anche per me, che pure c’ero. Era una delle mie prime e poche missioni in esterna dalla redazione. Mi ricordo arrivare accaldato ed eccitato, sulla Peugeot rossa plurigibbonata, in una Genova vuota: si vedevano soltanto o gruppi di ragazzi con zaino e spesso caschi attaccati allo zaino (e io ingenuamente mi chiedevo perché) o forze dell’ordine con casco e scudo (e io qui sapevo già un po’ di più perché). C’era una surreale piazza centrale ben protetta in una zona rossa – come cambiano i colori e le loro definizioni negli anni, oggi che siamo tutti in zona bianca e senza mascherina -, c’erano fioriere ben curate e nessuno nel giro di centinaia di metri. Mi ricordo scendere impaurito e incuriosito in un piazzale intitolato al più glamorous e liberal presidente Usa, JFK, sprangato, fumoso e urlante, al fianco di un tranquillissimo, lui, Giuliano Ferrara, non proprio l’idolo, allora, delle piazze black bloc di sinistra dura. Ricordo il mio collega, Lanfranco Pace – lui però stava sempre in strada, io più spesso al caldo del dibattito geopolitico – e lo ricordo gridare «libera stampa in libera manifestazione» mentre una schiera di ninja incappucciati ci veniva incontro minacciosa, per poi passare oltre, in quello che io rammento come l’ombroso sottopasso che divideva il fronte no logo dal ciuffo dell’elegantissimo presidente giapponese Junichiro Koizumi. Mi ricordo avvicinare la consigliera per la sicurezza nazionale Usa, Condoleezza Rice, per farle domande sui sondaggi negativi per il presidente Bush figlio. Prima che tutto accadesse e si prendesse tutto il ventennio successivo, una banale domanda sui sondaggi. La banalità della politica, prima che la storia fosse segnata da eventi più o meno offuscati nella memoria e prima che il mondo continuasse a dividersi in buoni e cattivi, con appartenenze a fasi alterne, dimenticando la non banalità del mondo reale e globale.
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