Tra le molte e probabilmente più importanti e sagge impellenze che la nostra condizione attuale reclama, ce ne sono un paio a parer mio fondamentali: il recupero dell’entusiasmo e dell’allegria. Indubbiamente servono comportamenti e azioni, e dobbiamo ascoltare con benevolenza le ricette di chi sa, o è convinto di sapere, o quantomeno si ingegna per aiutarci ad abbandonare il buio e la paura e tornare a brillare. Ma se mancano l’entusiasmo e un pizzico di follia e soprattutto se non torna a guizzare l’allegria temo che alla fatica disarmante si aggiungerà anche la disillusione. Mentre il mio pensiero si addentra in una non facile questione mi viene in mente un’immagine che dell’entusiasmo di vita è una bella rappresentazione: un uomo sul tetto di un palazzo di Venezia, nella notte in cui sta evadendo dopo una lunga detenzione. Ecco: è Giacomo Casanova che scappa dai Piombi in cui era stato rinchiuso dal Potere della Serenissima, senza conoscere l’accusa che gli era stata mossa, dopo delazioni ai suoi danni. L’avventuriero, filosofo e scrittore, dopo innumerevoli sofferenze e peripezie è finalmente arrivato ad un passo dalla libertà e racconta lo stupore e l’entusiasmo nel vedere l’isola di San Giorgio Maggiore e di fronte le numerose cupole della grande chiesa di San Marco. Ma l’entusiasmo dura poco, l’imprevisto è in agguato: malgrado i calcoli fatti, scendere da quel tetto sembra d’un tratto assolutamente impossibile. Nella sua Storia della fuga dai Piombi così scrive: “pensieroso e triste non sapevo che fare, quando un avvenimento niente affatto straordinario fece sul mio animo l’effetto di un vero intervento prodigioso. Spero che la mia sincera confessione non mi sminuisca alla mente dei lettori che sanno ragionare, perché capiranno che l’uomo in stato di inquietudine angosciosa non vale la metà di quanto varrebbe nello stato normale. La campana di San Marco che suonò la mezzanotte in quel momento, fu il fatto che colpì il mio spirito e con una scossa violenta lo fece uscire dallo stato di pericolosa incertezza nel quale era caduto. Quella campana mi ricordava che incominciava il giorno… Il suono di quella campana mi parlava, mi diceva di agire e mi prometteva la vittoria”. Anche noi stiamo a cavalcioni su un tetto scivoloso, cadere di sotto è un attimo. Eppure la libertà, il futuro, le possibilità sono ancora lì, intatte. C’è da rompersi le dita per svellere una grata, c’è da rischiare una gamba saltando verso una finestra aperta sulla salvezza? Ebbene si fa, è quello che si deve fare anche adesso. Senza uno scatto, irrazionale quanto si vuole, senza un guizzo di allegria e di entusiasmo, senza la sfrontata e sfacciata voglia di fare resteremo legati al chiacchiericcio inconcludente, agli slogan uditi fin troppe volte, ai noiosi programmi stilati a tavolino e disattesi, alle velleità sterili. Siamo un poco tutti Casanova in fuga da una prigione nella quale siamo finiti senza ben sapere il perché. Dobbiamo ingegnarci ad uscirne subito. Facendoci guidare da un normale prodigio della quotidianità.

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