Ho nella testa l’immagine di mia nonna che, minacciandomi bonariamente con la mano aperta, mi diceva “Ciao, scrivimi!”. Lo faceva di fronte a qualche mia risibile giustificazione su qualcosa che non avevo fatto o che volevo rinviare. Riassumeva, con due parole, un concetto più ampio: “non mi imbrogli e comunque giustificarti a parole è del tutto inutile”. Nella memoria c’è anche una versione cinematografica della frase: scene di amori estivi che salutano dal finestrino del treno, rinviando l’altro a una corrispondenza che mai ci sarà. Ciò avviene mentre rifletto sull’utilità dello scrivere. Ricevo lettere di persone che sollecitano a trattare un problema che li assilla e del quale magari il giornale si è già occupato molte volte. Sento troppi sostenere che i quotidiani volutamente tacciono o minimizzano il tal o tal altro argomento, e quasi sempre si tratta di gente che non legge. E riscopro quanto sia vero il detto che non c’è nulla di più inedito di quanto è già stato pubblicato. Nell’era in cui tutti pensano di poter accedere direttamente ad un universo di lettori scrivendo due righe su un social, la situazione è paradossale. Perché proprio i maggiori fruitori dei nuovi mezzi di comunicazione sono quelli che più facilmente accusano i media tradizionali di esasperare o di mettere la sordina a qualche notizia. E poi scoprono che non basta scrivere quella che ritengono sia la loro verità e postarla nella loro paginetta. Perché quella cosa devi anche farla leggere e a quel punto si cozza contro il nulla. Un mondo di scriventi che non leggono è una brutta faccenda. Ancor peggio: una società in cui la comunicazione si riduce ad una battaglia per classificare come “false notizie” tutte le cose che non corrispondono al proprio credo o non vengono dalla propria fazione, ha un ben misero avvenire. Il dibattito richiede la volontà di riconoscere l’interlocutore, altrimenti si rischia di tornare al giudizio di Dio per stabilire da che parte penda la bilancia della ragione. Non bastava il caos in cui siamo immersi a causa del virus e di un’ economia in affanno, e la caduta della fiducia e della voglia di fare, ora ci si mette anche la confusione generata da una valanga di messaggi e pseudo informazioni che piovono come bombe. Vale tutto e il suo contrario. E qualcuno finisce col credere che dietro qualsiasi evento o decisione, politica o no, ci siano congiure o imbrogli. Il lavoro del giornalista è anche quello di scegliere e di controllare i fatti prima di raccontarli. Proprio attraverso la sua buonafede e la sua credibilità passa la sottile linea che divide il certificabile dalle bufale. Ma se i cittadini non leggono e non si informano, e se i cronisti si abbeverano senza senso critico al gioco del sensazionale, allora la strada è senza ritorno. A quel punto chi ama farsi gli affari propri e agire dietro le quinte, profittando del silenzio e dell’ombra, potrà sempre rivolgersi a quelli che non si informano e non leggono, salutandoli ironicamente con una frasetta: “Ciao, scrivimi!”.
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