C’era una volta il santone indiano Dhalsim

Il filosofo Giovanbattista Vico avrebbe qualcosa da dire. Ed è fin troppo facile chiamarlo in causa parlando del fenomeno del retrogaming, che consiste nell’andare a recuperare consolle e giochi elettronici degli anni Ottanta. Corsi e ricorsi storici, direbbe. Nelle piccole come nelle grandi cose, tutto si ripete. Basta avere la pazienza di aspettare. Così pure per questa moda che ci fa sentire ancora giovani pur se giovani non lo siamo più, per lo meno per chi come me all’epoca della rivoluzione dei videogames si trovava alle prese con brufoli e adolescenza, combattuto tra la Critica della Ragion Pura di Hegel e la sala giochi in piazza dove ci si trovava tutti i giorni con qualche monetina in tasca (allora c’erano i duecento lire che andavano per la maggiore) da spendere per giocare a Tetris o a Forgs, oppure al Pac Man e poco dopo a SuperMario. Ne cito quattro a caso, pur sapendo di dimenticarne di importantissimi ma io non ero un patito di questi giochi, finché non è iniziata l’epoca di Street Fighter e dei suoi personaggi per sfide memorabili con gli amici. C’era il giapponese Ryu, l’americanaccio Guile, il bestione Zangieff, la furba Chun-Li, il mostro Blanka. Ma io ho sempre preferito il santone indiano Dhalsim. Non lo volevano in tanti perché non sembrava troppo potente ma aveva dei colpi che ti potevano sorprendere.

Se sblocchi un ricordo (come si usa dire adesso), però, te ne vengono dietro tanti altri perché, parallelamente ai videogames, quella era l’epoca dei cartoni animati giapponesi, pure loro di gran moda ancora adesso. Indimenticabili le alabarde spaziali di Actarus in Goldrake o la fantastica sigla di Jeeg Robot d’Acciaio. La cantavi a squarciagola mentre guardavi la televisione. La sua carica emotiva è stata sostituita solo qualche anno dopo dalle canzoni della brit pop che sarebbero sbocciate con la trasmissione DeeJay Television. E anche su questo si potrebbero scrivere dei libri andando a indagare sul perché siano tornati di moda i gruppi di allora e su come mai siano ormai diventate un must le fiere del vinile, dove acquistare i dischi dell’epoca per sentire le canzoni con il fruscio.

Cosa ci trovano, dunque, i giovani di oggi in ciò che piaceva a noi quando avevamo la loro età, è un mistero. Forse è la trappola dei corsi e ricorsi storici di cui si diceva all’inizio. Ma forse c’è qualcosa in più che adesso, almeno a parere di noi boomer, non c’è più. Ed è l’anima. Quei videogames, quei cartoni animati, quei dischi sapevano e sanno portarci dentro un territorio inesplorato che non coincide con il semplice gioco elettronico, con il cartone televisivo o con il vinile. Ti conducevano altrove, dimostrando che il bello – nella vita – non è sempre quello che si tocca. Platone (per rimanere in campo filosofico dopo Vico) avrebbe parlato di Mondo delle Idee. Forse vale la pena recuperarlo (come il retrogaming).