Ci sono fior di trattati sulla percezione del rischio. C’è chi non avverte il pericolo in frangenti particolarmente delicati e chi preferisce alzare tutte le sue difese anche se non ci sarebbe un bel nulla di cui avere paura. Chi si butta con il parapendio una buona dose di coraggio la deve avere per forza. Se non altro perché, quando davanti ai propri occhi si presenta il vuoto, è normale ritirarsi. Invece no. Ti lanci nel vuoto e vedrai quello che accade. Non per scomodare (anche stavolta) il buon Alessandro Manzoni ma, come diceva descrivendo don Abbondio, se uno il coraggio non ce l’ha, mica se lo può dare.
Di fronte al parapendio ci sentiamo un po’ tutti come il prete intimidito dai bravi e vadano a quel paese tutti i discorsi sul sogno dell’uomo di volare, sugli ideali di libertà e sul desiderio di imitare Icaro (che non fece una bella fine). Esiste una percezione del rischio – dicevamo all’inizio – che ci frena. Ci impedisce di abbracciare le emozioni più belle ma ci tiene pure al riparo dal pericolo maggiore, che è quello di morire. La vita, in fondo, è una partita a testa o croce nello scegliere la via giusta: il rischio o la prudenza. Dopo il Manzoni ci vengono ancora in soccorso i filosofi greci che, almeno su questa questione, loro che hanno studiato e conosciuto tutti gli anfratti dell’animo umano, parlano con cognizione di causa. Peccato, però, che ci diano indicazioni di senso opposto. Aristotele è diventato famoso – tra le mille cose – per la sua medietas, spiegandoci che la virtù sta nel mezzo, mai nell’eccesso. Dovendo scegliere, dunque, di buttarci con il parapendio rispetto allo stare seduti sul divano, dovremmo propendere almeno per andare a correre, una via di mezzo tra l’attivismo che sconfina con l’esagerato pericolo e la totale pigrizia di chi conosce come unico sport quello di schiacciare i tasti del telecomando.
Questione risolta, dunque: addio parapendio perché, come si suol dire, il gioco non vale la candela. Eh no, perché è il collega e successore di Aristotele, cioè Platone a portarci su una strada opposta e piuttosto impervia. Nel Fedone (il Dialogo che descrive la morte di Socrate) ci spiega che «il rischio è bello». Quale migliore occasione di sperimentare questa massima, buttandosi con il parapendio? Ma è l’esatto contrario di quello che ci diceva lo Stagirita (il soprannome di Aristotele che era nato a Stagira, città della penisola calcidica). Dovendo scegliere, allora, propendiamo per i consigli di quest’ultimo, anche se al liceo ci era più antipatico lui di Platone. Ma stavolta è troppa la paura che la cera delle ali possa essere disciolta dal sole. Perché i sogni, si sa, muoiono all’alba.