Quando sento parlare di Giappone, non so perché ma mi viene subito in mente Haruki Murakami, sarà perché amo immensamente questo scrittore o perché la mia ignoranza è talmente profonda di questo Paese che conosco bene o male solo lui, anzi i suoi libri. Stavolta, però, vale un altro argomento che è quello del cibo, confezionato con ordine nei bento-box, quei contenitori che dalle nostre parti venivano chiamati schiscetta ma si sono evoluti e ora sono pure di moda. Non mi sembra che Murakami ne parli nei suoi libri, o non me ne ricordo. Ma il portavivande giapponese sta avendo successo anche in Europa.
Ci puoi mettere di tutto, l’importante è che lo confezioni con ordine e con un tocco di artisticità e originalità. Portata d’obbligo (o quasi) è il riso. Il resto va a piacimento. In un mondo che sembra piombato dentro la confusione, il bento-box è una bella espressione di ordine e di misura. Quindi potrebbe diventare il soggetto ideale per il prossimo libro di Murakami che sa raccontare con precisione chirurgica non solo la realtà fattuale ma persino i sogni e le fantasie. Aspettando che lo scrittore giapponese ci diletti con una sua opera a tema, possiamo porci delle domande sul nostro rapporto con il cibo.
In un’epoca in cui tutto viene divorato con bulimica facilità, il nutrimento ha perso la sua valenza primitiva di semplice materia di sostentamento per diventare qualcosa di più e di diverso. È il nostro modo di rapportarci con il mondo e di scegliere ciò che ci piace, affinché abbiamo soddisfatti i nostri desideri alimentari. Il bento-box viene in soccorso di queste esigenze anche a chi ha poco tempo di dedicarsi alla propria alimentazione. In una scatoletta con coperchio, infatti, ci stanno i profumi, i colori, i gusti che ci permettono di ritrovare noi stessi. Concetto troppo filosofico della schiscetta? Forse sì, ma provate a cercare su internet le immagini del bento-box e vi sembrerà di essere ritornati nel mondo di Barbie (che va anche di moda).
Un universo che ci fa evadere dalla realtà pur mantenendoci dentro, perché non c’è nulla più del cibo che ci tiene ancorati a questa terra. È un’esperienza che ci mette a confronto con una cultura diversa dalla nostra ma che può essere anche nostra, considerato che ormai le contaminazioni sono all’ordine del giorno.
Pensando al Giappone, quindi, non penserò solo a Murakami d’ora in poi. La mente cercherà risposte nei bento-box. Con un piccolo particolare, però, che ci è sfuggito in questa breve narrazione. Quando viene in Italia l’autore di Norvegian Wood non è che si porti la scatoletta. Si siede al ristorante e va matto per la pasta. Ecco.