Dobbiamo farcene una ragione, sì dobbiamo farlo, non c’è via d’uscita. Gettate alle spalle consolidate certezze e tranquillizzanti abitudini dobbiamo lanciarci e nuotare nel grande mare delle incertezze, alla ricerca di nuovi lidi. I tempi sono maturi, dovremmo incominciare ad esserlo anche noi. Avanziamo, magari a fatica e a tentoni, in territori nuovi e inesplorati. Lo si deve fare. In fondo, a pensarci bene, è questo il bello. Il destino ha suonato al nostro campanello, come un ospite inatteso che ci ha detto una sola parola, con tono imperativo: partire! Ecco, senza preparazione, così a sorpresa. Finito il tempo delle coccole, ci siamo svegliati di colpo, sobbalzando, come per l’esplosione di petardi. Un sussulto, quasi nemmeno il tempo di pensare, di capire, di realizzare cosa stava accadendo. Ed eccoci dentro una nuvola nera. Ma le svolte sono così, basta un detonatore per far scoppiare quello che da tempo era instabile. Quante volte abbiamo detto e sentito parlare di cambiamenti da fare, di nuove strade da imboccare, di riforme, di rivoluzioni. Poi il nulla: chiacchiere da salottino, il dibattito velenoso in Tv, gli sfoghi isterici in rete. E invece, eccola la svolta, il taglio netto, la ferita dolente, la paura che incombe. E ti costringe a cambiare. Ti fa traballare, levandoti certezze da sotto i piedi, ti fa vacillare alla ricerca di equilibri nuovi. Sì la situazione era così debole, così vacillante, così malsicura e degenerata che è bastata una spallata. Adesso non è che ci siamo fatti saggi tutti in una volta, non è che abbiamo imparato. Certamente no. Sempre c’è chi non si avvede, del cambiamento, chi pensa che tutto sia come prima, immutabile. Che passata la tempesta si torna a far festa. Indubbiamente lo si potrà sempre fare, ma non come prima. Intanto molti lo hanno capito, e questo è un passo avanti, per tutti. In tutti i sensi. Che non l’abbiano compreso quelli che dovrebbero guidare il Paese, poco male. Si può cambiare. Perché il “tutto muti affinché nulla debba mutare” non sta più in piedi.
Adesso nel nostro cervello, nella coscienza collettiva, c’è una certa insicurezza, c’è la giusta e normale preoccupazione che l’eternità quaggiù è una illusione. Perché l’unica eternità che possiamo realizzare è quella di vivere ogni giorno costruendo qualcosa, fosse anche un’ inezia. Amare e lavorare è uno slogan da abbracciare. E chi non lo sa fare, peggio per lui. Serve sposare la semplicità, la modestia, la conoscenza e la riconoscenza, per quello che ci è dato. Il resto lo possiamo lasciare a chi non ha cuore e neppure fantasia. La pandemia, un dono ce l’ ha fatto. Ci ha aperto gli occhi su quello che c’era di sbagliato, di anormale, di avariato nel nostro modo di avanzare, dentro il futuro. Ora non si torna indietro. Sarebbe inutile e controproducente. Adesso si deve marciare, nuotare, volare verso una nuova stagione. Che sarà anche piena di spine, aspra o ingenerosa. Ma che differenza fa? Le coccole tanto ce le dobbiamo guadagnare e il rumore dei petardi, una volta sentito, non ci spaventa più.
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