Il mare ci ha sempre dato l’idea della vita. Ci immaginiamo dentro il ventre materno quando ci immergiamo in questo elemento naturale. Forse torniamo inconsciamente alle nostre origini perché ci hanno insegnato che tutto nacque dal mare. E lì tutto tornerà. È curioso allora raccontare la storia della medusa di Dohrn che prende il nome del biologo e grande amico di Charles Darwin con cui studiò l’ecosistema del golfo di Napoli. Ai due personaggi – Charles Darwin e Anton Dohrn – è intitolata la stazione zoologica della città partenopea, alla quale è collegato l’acquario, bello pur se semplice rispetto a quello conosciuto in tutto il mondo che sta a Genova. La medusa di Dorhn viene anche chiamata medusa immortale e questa cosa mi ha subito colpito se non altro perché, con quel nome, risponde a un’ambizione atavica e condivisa da tutto il genere umano. Come si fa a vivere in eterno? Questo speciale tipo di medusa (che in generale noi odiamo per le scottature) si rigenera a ciclo continuo. Quando sta per morire riavvia il ciclo vitale e riparte da zero. È il nostro sogno, la nostra speranza, a cui però né scienza né religione né filosofia hanno mai dato una risposta certa.

La medusa di Dohrn ce la fa e non ci stupiamo più di tanto di questo prodigio proprio perché siamo partiti con l’idea che nel mare si può avere prova sicura del postulato di Lavoisier cioè che in natura nulla si crea e nulla si distrugge. Il suo esempio, inoltre, ci dà conferma di un altro principio che governa l’umanità. Noi ne siamo un po’ all’oscuro perché il tipico approccio occidentale porta l’uomo a intendere la sua vita in senso lineare come nascita, crescita e morte. Alla fine poi ci hanno messo in testa l’idea della ricompensa e quindi l’equilibrio sociale si fonda su un meccanismo costi/benefici che può reggere per il mercato ma non sta in piedi se applicato all’esistenza umana. Ecco allora che la medusa di Dohrn ci insegna a pensare all’orientale cioè in modo circolare ovvero: non esistono premi e castighi, non ha senso reggere la società sul senso di colpa ma bisogna rendersi conto che la nostra vita è parte di un tutto eterno che si ricicla e continua a vivere. È dura lasciare da parte la nostra mentalità basata sul possesso e sull’individualismo ma ce lo insegna il mare. Pure lì esistono le stesse contraddizioni che albergano nel cuore dell’uomo. La sopraffazione è una delle regole fondamentali della natura. Il pesce grosso si sa, mangia il pesce piccolo, ma è bello pensare che da un essere apparentemente insignificante come una medusa ci arrivi un segnale di speranza e di ottimismo ancestrale. Per questo è per tanti altri motivi che ben conosciamo dobbiamo impegnarci sempre di più nel diffondere la cultura del mare. Noi che siamo italiani, che abbiamo la nostra penisola così romanticamente e naturalmente inserita in questo elemento straordinario, non possiamo non lanciare un messaggio forte per difendere l’ecosistema marino messo in difficoltà dai nostri comportamenti e dalla nostra insopportabile maleducazione.

Dalla stazione zoologica di Napoli alla One Ocean Week, dunque, arriva lo stesso segnale: difendere il mare significa tutelare l’umanità e fare del bene a noi stessi. Per vivere in eterno. Come la medusa.