Hip hop per i non addetti ai lavori è un genere musicale. Al quale, al massimo, si accoppia un modo di ballare piuttosto strano perché basato su gesti del corpo che lo portano in equilibrio instabile, in alcuni casi al limite dell’acrobatico. In verità l’hip hop – spiegano gli esperti – è molto di più. Non è solo una corrente artistica, non è semplicemente quella musica che i nostri figli sentono a manetta in cuffia, ma è pure un modo nuovo di guardare al mondo recuperando temi antichi. Che dovrebbero essere tipici dei giovani (almeno lo erano una volta): la ribellione allo status quo, la critica verso il sistema e la solidarietà come unica via d’uscita. Il tentativo è quello di declinare i concetti di mutuo aiuto con la formazione di una sorte di comunità che dovrebbe essere in grado di contrapporsi e combattere l’egoismo del mondo. Non male come concetti, ma non è detto che tutti coloro che amano o praticano l’hip hop li conoscano.
Di sicuro, però, questo genere ha rivoluzionato la musica degli ultimi decenni privilegiando il ritmo alla melodia, sostituendo la naturale armonia di una canzone con la ripetizione del refrain. Che barba, che noia, diranno i meno abituati alle sonorità hip hop. Ma se a milioni di persone (soprattutto giovani) continuano a piacere queste musiche, una ragione ci sarà. Ed è presto spiegata (non si scandalizzino i puristi della critica musicale). L’hip hop ha tutta l’aria di essere un’evoluzione tecnologica del punk. Così come il grunge lo è stato in chiave americana. La base da cui parte l’hip hop, infatti, è la voglia e la necessità di esprimersi, senza necessariamente avere delle conoscenze specifiche in campo musicale o artistico. È semplice manifestazione di qualcosa che si ha dentro. Per esprimerlo diventano indispensabili strumenti semplicissimi: se si vuole cantare basta un microfono e una base che può essere ripetuta all’infinito, se si vuole dipingere è necessaria una bomboletta spray, se si vuole danzare è importante allenarsi ma l’unico strumento che serve è il proprio corpo.
Ai più può sembrare noioso e ripetitivo l’hip hop. E lo è senz’altro nell’interpretazione che ne danno alcuni dei tanti che si cimentano in questo genere. Ma lo spirito dell’operazione va salvato perché non è solo cassa a palla e cantilene. Dietro, anzi dentro, l’hip hop c’è un mondo. Come modello d’approccio, dunque, vale il solito metodo: prima di criticare e di giudicare forse è meglio conoscere. Poi ci sono mille modi per confrontarsi con l’hip hop. L’anniversario dei cinquant’anni potrebbe perciò diventare una buona occasione per riascoltare o sentire ex novo alcuni dei principali brani di questo genere. Bene o male avrete sentito, anche se di sfuggita, qualche rima di Eminem. Oppure vale la pena recuperare Intergalactic dei Beastie Boys e qualsiasi pezzo dei Public Enemy, questi ultimi caratterizzati pure per la forte difesa della comunità afroamericana e per la pesante critica alla classe politica e ai mass media. Insomma, si potrebbe tirare fuori un’enciclopedia di band che si ispirano all’hip hop e questo dimostra quanto la corrente artistica abbia influenzato non solo il mondo musicale ma pure la cultura dei nostri ultimi cinquant’anni. E questo dovrebbe pure farci capire che il tutto non può essere riassunto nel giudizio su una rima noiosa. C’è un mondo che pulsa a ritmo hip hop. Forse siamo noi che non ce ne siamo ancora accorti.