Vista con lenti pessimiste (e dunque anche sempre un po’ realiste), questa è la società dell’immagine, dei like sui social, del tutto rapido o del tutto ripetitivo e monotematico e del tutto subito, perché il web va a fiammate e a ondate. Quasi tutti noi come pecoroni a commentare sui social a proposito del tema del momento, perché come disse Umberto Eco: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». E così il discorso pubblico si spezzetta in milioni di opinioni e spunti di informazioni dove una di queste vale una di quelle e tanto basta a sentirsi appagati, informati, magari anche sfogati. Semmai tutto si conta e niente si pesa. Tanto meno le parole.
Il pessimismo ha sempre qualche ragione di fondo, però si può tentare di guardare il tutto anche con lenti (più) ottimiste. E vista con lenti più ottimiste, questa è la società del contenuto, dell’idea. Head content… content manager… sono professioni molto ricercate, vuol dire più o meno che tutte le aziende, anche quelle non editoriali, si devono dotare di un professionista dei contenuti (bello che “contenuto” suoni un po’ come “contento”, nella sua versione inglese). Perché senza contenuti non duri nel mondo interconnesso: quando si dice “società dell’immagine”, bisogna anche riflettere sul fatto che un’immagine senza contenuto prima o poi svanisce. Se hai una buona idea nuova, puoi farlo sapere a tutto il mondo con un click. Insomma, non è cosa da poco, anche se certo, poi, meglio ancora se hai gli strumenti digitali giusti, se conosci i trucchi della rete, sei impari a “surfare” sulle onde digitali. E qui viene l’obiezione da fare a chi dice “non vado sui social, c’è solo casino”. Ecco no, se lasci il campo alle cattive idee e alle cattive identità, allora per forza ci sarà soltanto casino. Bisogna andarci sui social, per portarci le nostre identità, le buone idee, e bisogna puntare su un binomio forte tra immagine e contenuti, tra soggetto e sostanza. Gli esempi di “buoni” che battono i “cattivi” in rete ce ne sono a bizzeffe. Si può essere ottimisti, anche se sempre attenti a considerare i problemi delle false identità, delle cattive idee e delle fake news. Se però è la società del contenuto ma anche dell’immagine rapida e pulviscolare, serve comunque qualcuno, anzi tanti che sappiano unire i puntini di questi discorsi sincopati, spezzettati. Perché emerga il segnale tra tanto rumore (Nate Silver dixit), bisogna avere tanti filosofi, storici, analisti delle idee e delle parole e dei dati, insomma ci vuole la cultura, verrebbe da dire “la cultura umanista”, ma forse anche su queste definizioni dovremmo tutti un po’ aggiornarci.