La digitalizzazione è essenzialmente una forma di smaterializzazione. Come prima il telefono aveva i fili ora non più; per la verità già la trasmissione via etere – radio e tv – era un forma di smaterializzazione, come il cinema lo era del teatro greco-romano. Qui però il processo di smaterializzazione collettiva e repentina sta raggiungendo livelli molto elevati, anche per colpa di quell’acceleratore prodigioso che è stato un virus pericoloso. Come prima la musica era su oggetti ora non più. Come prima i libri occupavano stanze ricche di librerie ora non più: possono stare dentro un piccolo oggetto nero – sì, pur sempre un oggetto è, ma molto molto ridotto – riposto dentro al comodino o addirittura in tasca. Potresti tenere tutta o quasi la letteratura russa – sì, russa perché è letteratura, cultura, storia di un popolo, non di un autocrate – in uno spazio poco più grande di un portafoglio. Ma se la digitalizzazione è smaterializzazione, cioè se gli oggetti diventano file e dunque lo spazio si libera dalle cose, ha ancora senso collezionare oggetti, di qualunque tipo essi siano?

L’interrogativo può sembrare capzioso od ozioso, eppure inizia a entrare nelle nostre case. Ha senso tenere i cd del cantante preferito, ora che tutta la musica che vuoi ti sta nel telefonino? Non è meglio passare ai libri digitali, così liberiamo spazio in casa e i volumi magari li regaliamo alla biblioteca comunale? No, io non ci riesco, il libro ho bisogno di toccarlo, sfogliarlo, perfino annusarlo. E l’album delle figurine? In questo caso il tema, l’interrogativo è duplice e si sdoppia per colpa della natura specifica della digitalizzazione. La smaterializzazione, infatti, dà di sé una percezione di infinito: posso avere tutta la musica che voglio via telefono, come tutti i libri, come tutte le foto, che poi non ne trovo mai una di carta da mettere in una cornice in casa. Anche l’album delle figurine a me dava quella sensazione: credo di non averne mai finito uno, eppure lo volevo, era un oggetto che proteggevo con cura, che riparavo con scotch, che mostravo con fierezza, nascondendo, come nel gioco della seduzione o in un’interrogazione a scuola, le lacune. Ecco, collezionare cose oggi ha senso o no? Oggi che con un clic o googolando su Internet trovi tutto? Il senso dipende dalla persona, il che è una cosa bella. Il senso del collezionare cose diventa ancora più profondo, per chi ha bisogno del fisico per cullare la propria passione, proprio perché tutto il resto è smaterializzato. Per chi invece non ha mai avuto questa esigenza di materia, si liberano spazi in casa, ma si creano rischi sul futuro. È più facile che arrivino tra tre o quattro secoli oggetti o file? Ricerche istantanee o collezioni? Per ora scrivendo Pizzaballa sul web la figurina introvabile ti compare subito.