Perché si scrive un libro? Diciamo un romanzo, una biografia, un’autobiografia, tralasciando i saggi. Vanità? D’accordo, ma quello vale per tutto, le cose migliori le facciamo per vanità, non c’è nulla di male ad ammetterlo. Ci piace vantarci – come dice il maestro Maurizio Milani – quanto meno con noi stessi. Però ci dev’essere dell’altro. Raccontare una storia, ovvio e bellissimo. Si scrive un libro per abbracciare definitivamente qualcosa o qualcuno, come per non liberarsene mai, o per la lasciare definitivamente andare qualcosa o qualcuno, come per liberarsene per sempre. Il problema è che poi spesso queste due opposte esigenze si fondono e si mescolano, dunque tu scrivi un libro per liberarti di una cosa o una persona e crei una storia che in fondo resta per sempre, e viceversa. Mi è venuta in mente questa riflessione perché un amico ha appena scritto un libro, un romanzo noir, e un’amica ne sta scrivendo uno molto autobiografico e lo sta leggendo a un adolescente molto incuriosito. Ma, appunto, c’è dell’altro. Prendete Fedeltà del bravissimo scrittore Marco Missiroli.

È un romanzo dolce e sontuoso, fatto di vite normali ma di vite, di personaggi normali ma di persone. Ed è diventato una serie televisiva omonima su Netflix. Però, senza voler spoilerare nulla, la serie televisiva è un’evoluzione del libro che per me dice tutto sulla differenza tra letteratura e cinema. Perché nella serie televisiva le vite diventano (più) estreme, i look più marcati, i personaggi più personaggi e meno persone. Quindi forse scriviamo un libro per far diventare normale, cioè una storia, tutto ciò che ci sembra estremo, televisivo e/o cinematografico, mentre lo viviamo. Questa elucubrazione intellettualoide, questa super cazzola, direbbe il conte Mascetti, cioè il maestro Ugo Tognazzi (a proposito, tanti auguri per i cento anni festeggiati lassù e ricordati quaggiù dal bel documentario La voglia matta di vivere di Ricky Tognazzi presentato al BAff alcuni giorni fa), forse serve almeno in parte per capire i destinatari – in commercialese si potrebbe dire “i target” – di un libro rispetto a una serie televisiva, o la predisposizione che abbiamo quando leggiamo un libro, come Fedeltà, e cioè voglia di riflessione, di introspezione e di normalizzazione pensosa, o quando guardiamo una serie televisiva, come Fedeltà, e cioè voglia di svago, di emozione e di radicalizzazione divertita. Insomma, siamo sempre noi alle prese con i nostri opposti interiori e con la voglia di lasciare andare tutto e di non lasciare andare mai nulla, di essere noi stessi l’attimo prima e l’attimo dopo dei nostri istinti magnetici, dei nostri poli opposti. È la nostra matta e saggia fedeltà a noi stessi.