Quella sottilissima, pessima sensazione che la guerra iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina da noi sia diventata, in meno di un mese, poco più di un argomento da talk show non mi abbandona. Eppure spero tanto sia una sensazione sbagliata. Il problema di fondo è che da tempo la politica nazionale è diventata una sorta di nuova telenovela costante e permanente che consente alle televisioni di creare personaggi e serie di trasmissioni a costi contenuti, con protagonisti predefiniti e giochi di ruoli scontati, ma pur sempre efficaci in termini di audience. Questa tendenza si abbevera del tema del momento, che in tempi ordinari è la polemica del giorno, magari soppesata bene grazie ai flussi di “mi piace” o “non mi piace” sui social media. In tempi straordinari, invece, questo fenomeno è accentuato dalla presenza di una trama prestabilita molto forte e capace di monopolizzare l’attenzione degli spettatori e dunque gli sforzi di autori e conduttori televisivi. Così è accaduto prima con il Covid e i virologi e i politici e i commentatori e poi adesso con la guerra e i generali e di nuovo i politici e gli analisti militari e di politica estera. Una delle concause di questo possibile slittamento dall’informazione all’infotainment, come si suole chiamare quel mix di informazione e di intrattenimento che riempie i nostri palinsesti, è la scarsa distinzione tra i notiziari, le trasmissioni di approfondimento e i talk show più o meno leggeri. Il tutto “aggravato” dalla difficoltà di affermazione presso il nostro pubblico delle reti all news, nonostante i pregevoli sforzi di approfondimento di SkyTg24, di copertura completa di RaiNews e di sensibilità ai temi politico-economici del Tgcom24.

In sostanza, quello che succede nella carta stampata, ovvero la non distinzione tra informazione da tabloid e giornali generalisti autorevoli, con la commistione di temi gravi e leggeri sulle pagine dello stesso foglio, accade sempre più spesso anche nell’informazione televisiva. Tutto ciò provoca una preoccupante sensazione di naturale equiparazione tra i temi, dove un argomento vale l’altro, se permette comunque di schierare in campo i “soliti” protagonisti, a costi di produzione per l’appunto contenuti e con moderati sforzi di creatività. Così facendo però è ovvio che debbano entrare in gioco logiche di ricerca degli ascolti che spingono alla sovraesposizione delle posizioni estreme – lo abbiamo visto con il Covid, lo vediamo con la guerra – a danno delle riflessioni più complesse, delle storie più difficili da raccontare e dei ragionamenti più soppesati.