L’idea che la rete ci porti sempre più nel futuro è talmente ovvia che ormai usiamo il web come respiriamo. L’aria c’è, la rete c’è. Salvo cataclismi. Però intanto alle nostre vite, alle nostre biografie, perfino alle nostre personalità succedono cose, accadono effetti di cause poco colte, poco percepite. Siamo infatti letteralmente portati, accompagnati nel futuro, nel nuovo, oltre quello che siamo, da nodi e legami tra nodi che costituiscono la rete. Per esempio la musica. Ho iniziato ad ascoltare David Bowie perché Marco, camminando sulla spiaggia, mi disse: «Ascolta questa cassetta». Ho scoperto e amato subito il jazz perché vidi la sterminata collezione di dischi di Max e Miles Davis fu il primo. Ho saputo che cos’è l’Indie perché Francesca me ne ha parlato quando ai concerti dei The Giornalisti eravamo un centinaio. E altri esempi, passando dalle cassette ai dischi ai cd agli mp3 alla app prescelta. Poi ho inserito questi miei gusti come risposte a domande sulle mie preferenze che mi ha posto la mia app, appunto, preferita per ascoltare musica dallo smartphone. In un frullato di nodi e legami un algoritmo – con o senza contributo umano? – ha miscelato Gaber, Bowie, Bertoli, Coltrane, Leo Pari (ah, c’è il concerto domani a Milano), Tommaso Paradiso, Achille Lauro, Marrakesh, Nannini e Sibelius e Shostakovich e altri, mi ha preso per mano e mi ha portato a conoscere Destroyer, Gotan Project, Locasciulli, Oscar Peterson Trio, Passenger, Portico Quartet e tantissimo new jazz britannico (favoloso, peraltro). Ecco, non me ne sono tanto accorto, ma sono andato oltre, grazie a un algoritmo che come mi suggerisce scarpe da comprare mi apre stanze musicali finora da me inesplorate. Qualche giorno fa Luca Sofri, direttore del Post, scriveva nella newletter alla sua redazione qualcosa come: suggeritemi play-list da ascoltare, non ne trovo di belle. A un messaggio in cui gli suggerivo una app, giustamente rispondeva: «E io pago…». Perché alla fine, come nessun pasto, anche nessuna app è davvero gratis. Resta però la potenza dell’idea che anche senza volerlo non riesci a star fermo in quello che ti piace e conosci, ma sei portato a conoscere cose che ti piaceranno. Questa è la trasposizione meccanica e musicale – e qui ritorno a citare Luca Sofri quando ironizza su frasi come “innovazione nella tradizione” – di come per andare nel futuro serve conoscere il passato, le esperienze che hanno portato ai gusti del presente, per spostarsi ad apprezzarne le evoluzioni. È un amore meno statico e più dinamico, ma è pur sempre amore per la musica. E noi paghiamo.
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